sabato 7 novembre 2009

Il linguaggio (ostacolo alto)


Definiamo il linguaggio come il mezzo che ci serve per manifestare i nostri pensieri.
[...] La cosa più pericolosa di questa definizione è l'atteggiamento ottimistico con cui siamo soliti ascoltarla. Perchè ella stessa non ci assicura che mediante il linguaggio possiamo manifestare, con sufficiente adeguatezza, tutti i nostri pensieri. Non si compromette fino a tal punto, però tanto meno ci fa vedere limpidamente la verità rigorosa: che essendo impossibile all'uomo intendersi con i suoi simili, perchè è condannato a radicale solitudine, egli si sforza estenuamente di mettersi in contatto con il prossimo. Di questi sforzi il linguaggio è quello che riesce talvolta a dichiarare con maggior approssimazione alcune cose tra quelle che ci passano dentro. Niente più. Però, ordinariamente, non usiamo queste riserve. Al contrario, quando l'uomo si mette a parlare lo fa perchè crede che si accinge a dire quanto pensa. Ebbene, questo è quel che è illusorio. Il linguaggio non offre fino a tanto. Dice, più o meno, una parte di quel che pensiamo e pone un ostacolo insormontabile alla trasfusione del resto. Serve abbastanza bene per enunciati e prove matematiche; già a parlar di fisica comincia a farsi equivoco ed insufficiente. Però a mano a mano che la conversazione si occupa di temi più importanti di questi, più umani, più "reali", va aumentando la sua imprecisione, la sua torpidità e confusione. Docili al pregiudizio inveterato secondo cui parlando ci intendiamo, diciamo e ascoltiamo con tanta buona fede che finiamo molte volte per fraintenderci molto più che, se fossimo muti, cercassimo di indovinarci.

[Josè Ortega y Gasset: "La ribellione delle masse"]

domenica 1 novembre 2009

domenica 25 ottobre 2009

Ariel (sulla prospettiva)

Essere dentro.
Dentro ad una tempesta, come nave travolta dalla furia delle acque, naufraghi alla deriva in balia delle correnti.
Oppure essere dentro ad un quadro, essere le macchie di colore che il pittore disegna sulla tela.
Essere dentro alla vita, viandanti in cerca della strada, pellegrini smarriti lungo il cammino. Personaggi in cerca d'autore.
Essere dentro. Ecco il nocciolo del problema. Che siamo dentro, che non riusciamo a cogliere il significato più profondo delle cose perchè ci siamo "troppo" dentro. Manca il distacco necessario, la giusta distanza. Manca la prospettiva.
Cosa capirebbe di un quadro l'osservatore che si incollasse con il naso alla tela? Niente. Al massimo un particolare, una sfumatura. Ma perderebbe il contesto, la visione d'insieme.
Per apprezzare il quadro nel suo complesso l'osservatre dovrebbe porsi ad almeno un metro o due di distanza, avvicinarsi od allontanarsi a seconda delle dimensioni dell'opera.
Illusione. Pensare di poter capire la vita... proprio noi che ci siamo così dentro.
Guardo Ariel che si dibatte tra i flutti, e mi sento così piccolo, così impotente...

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

domenica 18 ottobre 2009

In un porto del Mediterraneo



Io non so cosa sia più importante:

la dolcezza speziata del caffè amaro
mescolata al gusto della prima sigaretta del mattino
o l’odore di pesce e barche verniciate di fresco.
I vestiti sbiaditi sul filo fra i mandorli in fiore
o i monti che li mettono in risalto...

No, nulla di ciò, ma tutte queste cose insieme
rivelano che ho trascurato qualcosa

e che la sua presenza mi tormenterà per il resto della vita
perché l’ho ignorato mentre era qui.

[Henrik Nordbrandt: "Il nostro amore è come Bisanzio"]