mercoledì 6 giugno 2012
domenica 3 giugno 2012
Mértola
C’erano
sogni che Maria faceva con una certa frequenza: un gruppo di case, o una Chiesa, o un
castello e lei che passeggiava, da sola, per questi posti. Fin qui
niente di strano. Lo strano era che questi sogni si ripetevano; quei
luoghi potevano apparire ora in maniera più precisa, ora più vaga,
ma erano sempre gli stessi, non cambiavano mai e non corrispondevano
a nessuno che lei conoscesse.
Due
sere prima, ad esempio, aveva sognato il castello. Questa volta si
trovava sui bastioni da dove poteva dominare con lo sguardo tutta la
vallata, quel panorama che col tempo le era diventato familiare:
colline basse e povere di vegetazione, un agglomerato non molto
esteso di case bianche con i tetti rossi e poi il fiume, poco
distante.
Un
altro sogno che Maria faceva di frequente era quello della strada.
Dovevano essere le prime ore del pomeriggio e Maria camminava lungo
questa strada sotto un sole estivo. Il cielo era una tavola di un blu
luminoso ed uniforme, senza una nuvola, il silenzio interrotto solo
dal rumore dei suoi tacchi sui sanpietrini che pavimentavano la via.
Intorno non c’era nessuno, non una macchina, non un cane, lontano
solo il frinire delle cicale.
Il
castello del sogno aveva una grande torre ed altre torrette più
piccole di difesa. Una porta ad arco apriva in una sala con il
soffitto a volta, attraverso un corridoio di roccia si accedeva alla
piazza d’armi, nel mezzo della quale c’era una costruzione
cilindrica semi-diroccata: un pozzo, forse una cisterna.

A
volte Maria sognava la Chiesa. Una Chiesa strana, diversa da quelle
alle quali era abituata, bianchissima all’esterno con grandi
merloni e torrette cilindriche. Non la tipica Chiesa a pianta
rettangolare, ma una Chiesa quadrata, con un grande salone centrale e
due navate laterali. A volte passeggiava lungo le navate addobbate
con i pannelli che raffiguravano le stazioni della Via Crucis, altre
volte arrivava fin davanti all’altare, dietro al quale c’era una
nicchia contornata da strani pilastri arabeggianti.
[Lars W. Vencelowe: "Prove di fuga"]
sabato 2 giugno 2012
Paul Buchanan - Mid Air
Attenzione: probabilmente questo è il CD più importante dell'anno. Forse del decennio.
domenica 27 maggio 2012
Dimissioni dalla lotta
Sono
piovuto su un mare d’argento
un
giorno di brezza leggera.
Intorno
a me persone in maschera
nuotavano
da millenni
rincorrendo
bolle di sapone
che
un vento capriccioso
spingeva
un po’ più in là.
Il
cielo era vestito dalle voci
di
gente che chiedeva,
ma
il suono del mare
copriva
le risposte.
La
riva era un miraggio
che
si dissolveva
quando
credevi
di
averlo raggiunto.
Ho
provato a seguirli,
ho
rincorso oggetti e idee
cambiando
più volte direzione.
Ho
cercato rifugio
nelle
profondità marine
per
nascondermi dagli altri.
Ma
ogni volta che il fondo
sembrava
a portata di mano
mi
spingeva via
ed
io tornavo a galla
deluso
e senza fiato.
Per
soddisfare la sete dei miei sogni
non
ho trovato nient'altro
che
un contagocce consumato.
Stanco
di girare in tondo
e
di vagare senza meta
ho
ammainato le vele
e
mi sono arreso.
Sdraiato
sul dorso
ho
smesso di nuotare.
Dimesso
dalla lotta
mi
sono lasciato portare.
[Lars W. Vencelowe: "Mater mare"]
sabato 26 maggio 2012
1 OTTOBRE 1970
1
Ottobre 1970, primo giorno di scuola. Ed io sbagliavo classe.
Un
caso? Sicuramente. Ma forse anche un segno per dire: io sono così.
Così
come? Così. Diverso. Che sia vero o no non ha alcuna importanza. Quello che importa è che mi sento diverso, e tanto basta.
Sono quello che sento, non quello
che gli altri cercano di convincermi che io sia, questo è il punto.
E non è bello sentirsi diversi. Ci si sente a disagio.
La
diversità è un fardello pesante da portare, è merce che va
trattata con delicatezza, perché diversità fa rima con fragilità.
La diversità non puoi comunicarla a parole, e del resto sarebbe
fatica inutile: solo un altro animo simile può riconoscerla.
La
diversità è solitudine. Non ha senso esibirla, anzi. La si coltiva
nel proprio cuore e la si nasconde a chi non capirebbe.
E
così ho fatto. Ho cercato di stare nel gruppo, di confondermi, di
annullarmi nella massa, di rendermi invisibile. Ho cercato di essere
quello in fondo nelle foto, quello dietro a tutti. Ho
giocato a mascherarmi, a fingere di essere come gli altri. Fino a
quando? Per sempre, credo.
Mi
sento irredimibile, condannato da me stesso ad una doppia vita:
anonima quando sono tra la gente ed immaginifica quando sono nel mio
mondo. E’ un modo di vivere un po’ complicato, ma che per ora
funziona.
Ad
una sola cosa devo stare attento, a non mescolare mai
i due mondi. Temo che potrebbero saltare tutti gli equilibri che mi
sono faticosamente costruito.
[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]
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