“Potrò essere solo a certe condizioni. Quali non lo
so.”
La storia di un’ossessione,
quella dell’uomo senza nome protagonista del romanzo per il rumore, rumore che fa
il suo ingresso in scena già alla seconda riga (Apro il cancello e trovo il rumore) e che viene presentato come
qualcosa di concreto più che entità astratta (lo cerco con lo sguardo, quasi fosse possibile determinare la sua forma
e il limite della sua vitalità).
All’inizio è
solo un disturbo, frastuono che proviene dalla strada e si limita ad
infastidire il protagonista quando è in casa, ma nel corso della storia si
dilaterà a dismisura fino a diventare ingovernabile, monomania in grado di fare
da innesco per l’esplosione di quel malessere che il giovane non riesce più a
comprimere dentro di sé.
Un uomo solo, che
frequenta un strano e contorto amico di nome Besarion, con il quale non riesce
ad avere un rapporto confidenziale ma solo conversazioni superficiali, ed è
invaghito di una ragazza, Leila, una vicina di casa alla quale non riuscirà mai
a dichiarare i suoi sentimenti, finendo poi per sposarne l’amica, Nina, più per
indolenza che per amore (Sposerò Nina. È
la cosa più facile, sì, molto più facile di tutto il resto.).
Un uomo freddo,
apatico, che si sorprende della considerazione qualcuno può avere per lui (“Perché mi accetta?” – chiede a Nina – “Perché lei è buono e per bene.” “Sono buono e per bene?”), e che non
riesce a provare alcuna forma di empatia per gli altri.
Un uomo che vive
veramente solo nella sua immaginazione, nei suoi sogni, come quello del romanzo
che vorrebbe scrivere senza però iniziarlo mai, ma che se non altro gli
fornisce il conforto necessario per andare avanti (forse questo è il fausto giorno in cui comincerò il mio libro. Ce l’ho
quasi tutto nella testa. Mi basta sceglierne un inizio: cosa dire per primo,
con cosa cominciare. Seduto allo scrittoio, ci rifletto, e le creature che ho
pensato già fanno quel che devono per vivere il dramma prefissato. Ho detto
loro di camminare, e camminano. Mi meraviglio della magia del mio pensiero.
Reclino la testa e mi assopisco. Sono felice e questo mio riposo è meritato).
Un personaggio
simile in tutto e per tutto al Bernardo Soares di possoana memoria: un
sognatore, ma forse anche un immaturo, uno che preferisce la fuga al confronto,
che ha paura di assumersi delle responsabilità e appena può scappa in solaio a
giocare da solo con i suoi soldatini. Un uomo
lacerato, come lo definisce Besarion, senza sapere cos’è che lo lacera.
Gli altri, la
gente, i vicini, sono nemici, fabbricatori di rumori e di disturbo, da evitare
prima e combattere poi, in un crescendo che diventa drammatico con il procedere
della trama.
Perché tanto
accanimento nei confronti del rumore? Perché secondo il protagonista è ciò che
gli impedisce la concentrazione, ma questa è solo una scusa, una
giustificazione che racconta agli altri sperando di convincere anche se stesso,
perché in realtà il problema è che non sa su cosa concentrarsi: il protagonista
è un guscio vuoto, senza obiettivi, ambizioni, aspirazioni. Questo è il vero
dramma, il dramma dell’uomo moderno che dopo essersi calato nei labirinti della
coscienza scopre di aver perso il filo che lo legava all’esterno (Besarion tenta di essere, finge di essere,
pur di non essere. Non essere che cosa? Non essere chi? Se stesso. Besarion
tende decisamente a non essere. E io, tendo a non essere?... no, tendo a
essere. Non me lo permettono. Interferiscono, mi bloccano. Potrò essere solo a
certe condizioni. Quali non lo so, Lo intuisco appena.).
Atmosfera kafkiana
per una scrittura che per il rigore e la freddezza delle frasi brevi, secche
come sentenze, mi ha ricordato Lo
straniero di Camus. Ma Di Benedetto è scrittore argentino e come tale non
può far mancare tra le pagine quegli squarci di luce tipici della letteratura
sudamericana (il sole che si prodiga sul tavolo della stanza da pranzo,
il giorno che non è altro che latticello
acquoso alla finestra). Leggo sulla quarta di copertina che la rivista La Nacion ha definito l’autore “uno dei
segreti meglio custoditi della letteratura nazionale”: ecco, sono contento che
questo segreto sia stato finalmente svelato.