sabato 12 dicembre 2020

Il cimitero dei pianoforti – José Luis Peixoto


Guardavo i pianoforti morti, mi ricordavo che c'erano pezzi che risuscitavano dentro ad altri pianoforti e credevo che anche la vita potesse essere ricostruita allo stesso modo.

Un libro che prende le mosse dalla tragica vicenda di Francisco Lázaro, morto per collasso durante la maratona olimpica di Stoccolma del 1912, per raccontare la storia di due generazioni di una famiglia portoghese. 
Il cimitero dei pianoforti è il nome della stanza dove sono sistemati gli strumenti non più funzionanti all'interno della bottega di falegnameria nella quale lavorano padre e figlio protagonisti del romanzo e il riferimento ai pianoforti è sottolineato anche da una scrittura "musicale", la consueta prosa poetica di Peixoto che qui è ulteriormente aggraziata, spingendosi ad accarezzare le parole per farle risuonare come note di una sinfonia.
Il Portogallo del quale si racconta è un paese con un piede ancora nell'Ottocento, l'autore descrive i riti delle famiglie patriarcali dell'epoca, con il corollario di tradimenti, violenze domestiche, vizio del bere e difficoltà di comunicare. Le voci dei due protagonisti si alternano nel descrivere la loro storia in prima persona: uno parla dopo essere già morto e l'altro mentre corre la maratona che non riuscirà a portare a termine. Particolarmente difficile risulta seguire la narrazione del maratoneta, che spesso intreccia due o tre pensieri o momenti diversi, costringendo il lettore a tornare indietro per riprendere il filo di un discorso lasciato in sospeso a volte pagine prima. È un artificio stilistico che probabilmente serve per rendere al meglio l'impressione di come i pensieri si accavallino nella mente di un uomo che sta correndo ma che alla lunga potrebbe risultare una forzatura strutturale; peccato veniale che si perdona volentieri a una penna originale come quella di Peixoto, capace di muovere le parole in maniera armoniosa ed evocativa.
Ancora un romanzo nel quale lo scrittore portoghese approfondisce i temi della memoria e del legame vita/morte, ancora un romanzo di suggestioni, raffinato equilibrio e costante ricerca stilistica. 

«Oggi e per sempre. Non c'è differenza tra quello che è veramente accaduto e quello che ho distorto con l'immaginazione, ripetutamente, ripetutamente, nel corso degli anni. Non c'è differenza tra le immagini sbiadite che ricordo e le parole crude, crudeli, che credo di ricordare, ma che sono soltanto riflessi costruiti dalla colpa. Il tempo, come un muro, una torre, una costruzione qualunque, fa sì che non ci sia più distinzione tra verità e menzogna. Il tempo mescola la verità con la menzogna. Quello che è accaduto si mescola con quello che vorrei fosse accaduto e con quello che mi hanno detto sia accaduto. La mia memoria non è mia. La mia memoria sono io distorto dal tempo e mescolato a me stesso: alla mia paura, alla mia colpa, al mio pentimento.»

martedì 8 dicembre 2020

Tornabuoni Novecento

 

Novecento di CTS è un toscano di forma bitroncoconica classica stagionato per nove mesi. É composto unicamente da tabacco Kentucky proveniente dall'alta valle del Tevere e invecchiato due anni prima di essere lavorato con macchinari d'epoca, sia nel battuto fine che costituisce il ripieno e sia nella fascia che lo avvolge.

È un sigaro di forza media, bilanciato ed elegante, un signore con i piedi ben saldi nel passato e lo sguardo puntato nel futuro, un toscano coraggioso che sa da dove viene ma anche dove vuole andare. Novecento è un sigaro fiero delle proprie origini ma che con l'esperienza di vita ha imparato a correggere una certa "asprezza" del carattere contadino, riuscendo a coniugare la forza della tradizione con le idee nuove dell'attualità. Ci parla di terra, di cuoio, di legna affumicata, di pepe e altre spezie, ma lo fa senza che nessuna delle suggestioni che libera la fumata soverchi l'altra e l'amaro incontra sempre una nota più dolce pronta a stemperarne il vigore. 

Nessuna forzatura né artificiosità, Novecento non è un acrobata perennemente in bilico sulla corda che cerca di conquistarsi un equilibrio ad ogni passo che muove nel vuoto ma un sigaro ben riuscito nel quale ogni voce trova spontaneamente il suo controcanto e tutte le sensazioni che sprigiona creano una consonanza che produce armonia.

Novecento è un grande sigaro di una grande manifattura.

sabato 5 dicembre 2020

Una tomba per Boris Davidovič – Danilo Kiš




«Credo che la letteratura debba correggere la storia: la Storia è generalità mentre la letteratura è concretezza. La Storia è numero, la letteratura è individualità»

 Partendo da questo assunto, Kiš mescola fiction e faction in un libro composto da sette racconti che costituiscono sette romanzi brevi, nel senso che ognuno di essi narra la biografia di un personaggio diverso ma che sono anche sette capitoli di una stessa storia (come indicato nel titolo), quella del fanatismo e delle sue conseguenze nefaste. 
Lo scopo di quest'opera – lo spiega l'autore stesso in quella straordinaria summa del suo pensiero che è Homo poeticus – è ragionare sull'epoca staliniana mescolando prove documentali e false fonti in modo da conferire più solidità alla narrazione e contemporaneamente dimostrare la superiorità della letteratura sulla realtà.
Lo stalinismo diventa così una scrofa che divora la propria prole e ideologismo, colpa, tradimento, rapporto vittima/carnefice sono i temi sui quali Kiš punta l'attenzione  ampliando il campo della riflessione alla multiforme natura dell'uomo, senza trascurarne dubbi, limiti e soprattutto contraddizioni.
Una tomba per Boris Davidovič  è un libro molto interessante anche stilisticamente: dall'uso borgesiano dei falsi documenti di cui si è detto, all'utilizzo di diversi piani narrativi all'interno dei singoli racconti, all'alternanza di descrizioni d'ambiente e narrazione che ricorda Pil'njak. 
Opera di indubbio spessore di uno degli intellettuali europei più importanti del secondo Novecento.

domenica 22 novembre 2020

Brevemente risplendiamo sulla terra – Ocean Vuong

 

Non ti sto raccontando una storia ma piuttosto un naufragio, i pezzi galleggiano, finalmente leggibili.

 L'esordio di Ocean Vuong nella narrativa è un romanzo che sotto le vesti di una lettera alla madre analfabeta che non potrà mai leggerla, racconta la storia di un ragazzino vietnamita e della sua famiglia (madre e nonna) emigrati negli Stati Uniti. Una cornice classica (il romanzo di formazione) per un quadro moderno, almeno a giudicare dalla ricchezza e dalla complessità dei temi sviluppati da Vuong nella sottotrama e dallo stile del libro.

Utilizzando una scrittura "musicale", a tratti poetica, con la quale costruisce un romanzo per immagini nel quale non manca un uso sapiente delle metafore, l'autore  affronta infatti una serie di riflessioni che spaziano dall'identità culturale e sessuale del protagonista al rapporto con la madre, dalla Bellezza ai modi ed alle difficoltà di amare, senza trascurare la continua attenzione all'importanza del linguaggio.

Un libro sul tentativo di essere felici, un'opera prima decisamente convincente di un autore che sembra avere molto da dire e soprattutto di sapere come dirlo.

domenica 15 novembre 2020

Rapporto al greco – Nikos Katantzakis

 


Arriva fin dove non puoi.

 Summa del pensiero di Nikos Kazantzakis e testo imprescindibile per chi ama questo autore, Rapporto al greco è l'autobiografia romanzata di una vita vissuta nel tentativo di elevarsi oltre i propri limiti ("arriva fin dove non puoi") per essere all'altezza del suo "antenato della terra amata di Creta", nel tentativo del figlio di eguagliare e superare la gloria dei padri.

 Conciliare l'inconciliabile, diventare prima uomo e poi Dio cercando di creare armonia dal caos che governa la vita, sublimando la realtà con gli occhi dell'immaginazione. Questo, in estrema sintesi, mi sembra sia stato lo scopo della vita di Kazantzakis.

Una ricerca costante, un'ascesa continua lungo la scala che porta alla Verità, trovando lungo il percorso compagni di viaggio quanto mai eterogenei ma che rispondono ai nomi di Omero, Cristo, Dante, Bergson, Nietzsche, Buddha, Lenin, san Francesco e Zorba.

Un viaggio il cui primum movens è il desiderio di libertà: dapprima dai Turchi che occupavano Creta e successivamente dall'ignoranza, dalle false idee e dai falsi idoli. Essere libero e poi essere santo, inteso nel senso di porsi un obbiettivo alto da perseguire, non tanto per raggiungerlo "ma per non smettere di salire. Solo così la vita acquista solidità e unità".

La scoperta della bellezza e della sete di apprendimento per nutrire lo spirito sono altre tappe del percorso di crescita dello scrittore greco, destinate a essere superate negli anni dell'Università dallo sbocciare di una furia iconoclasta: la sfida a Dio per ergersi a creatore del proprio mondo avendo sempre come stella polare la ricerca dell'armonia, la tensione verso il "punto fermo del mondo che ruota" (per dirla con le parole di T.S. Eliot), il luogo in cui si conciliano gli opposti a cominciare dalle diadi ragione/sentimento e carne/spirito.

L'ingresso nell'età adulta segna una nuova fase nella ricerca dello scrittore greco, quella della responsabilità. Responsabilità di cercare un scopo e poi perseguirlo: la ricerca e insieme la lotta con Dio tra il monte Athos, Gerusalemme, il monte Sinai e il deserto; l'incontro con l'abisso e la scoperta dell'incapacità di andare oltre il proprio limite, come invece avevano fatto il Cristo e il Buddha riuscendo a dominare il loro caos interiore. E poi Nieztsche, "il profeta nemico di Dio", dal quale impara a diffidare delle teorie e ad evitare le scorciatoie, il Buddha che gli indica la strada della pietà e della condivisione del proprio destino con quello del mondo e ancora, in contrapposizione al saggio orientale, Lenin, che gli offre una nuova prospettiva per provare a rispondere ai bisogni dell'uomo.

Un percorso tortuoso, che procede a volte per analogie e a volte per contrapposizioni ma sempre con l'imperativo di non fermarsi ai traguardi parziali ma di ripartire ogni volta ala ricerca di un nuovo obbiettivo, sapendo che il maestro in grado di indicare la via può celarsi dove meno ci se lo aspetta. È il caso di Zorba, l'ultimo del compagni di viaggio dello scrittore cretese, un greco di mezz'età che possiede spontaneità, vitalità e leggerezza, doti che mancano  a Kazantzakis e che gli impediscono di vivere giorno per giorno.

 Rapporto al greco è il racconto di una corsa in solitaria verso la luce, il tentativo dell'uomo di uscire dall'ombra e di trascendere la propria natura. La penna è l'arma con cui l'autore va alla guerra per la redenzione dell'uomo, per aiutarlo a raggiungere il Bene e la Libertà assoluti portando con sé anche le contraddizioni, gli errori e le sofferenze che fanno parte della sua natura e sono necessari per approdare alla sintesi superiore di forma e sostanza. Le parole, quindi, come strumento per raggiungere la salvezza attraverso "l'unica strada che conduce a Dio, l'ascesa".