L'amico estraneo – Christoph Hein
(trad. Fabrizio Cambi)
edizioni e/o 1987 – I ed. 1982
Novella circolare, con la narrazione che parte dalla fine per precedere a ritroso per raccontare la storia di Claudia e la relazione con Henry che la protagonista tiene sempre sotto il rigido controllo della ragione. Il suo è un profilo psicologico apparentemente semplice, quello della donna ferita dal fallimento del matrimonio e che ora ha paura di investire emotivamente in una relazione stabile, eppure sotto la superficie c'è molto di più. Il malessere di Claudia, ad esempio, sembra esistenziale, affonda le radici in episodi dell'infanzia (le visite ai miei genitori mi rendono sempre nervosa. Sono visite di cortesia a persone alle quali non mi lega niente), l'atarassia che mostra agli altri ci appare come una posa, un'armatura difensiva con molte più crepe di quanto lei stessa sia disposta ad ammettere e il suo decisionismo solo un tappeto sotto il quale nascondere i sensi di colpa.
Con una scrittura asciutta e precisa, Hein rende bene il tentativo di Claudia di dare ordine alla sua vita, di costruirsi un equilibrio che le consenta di vivere sulla superficie delle cose cercando di tenere a bada il rimosso. Vivere alla giornata senza cullare illusioni ma prendendo quello che viene per il tempo che potrà durare. Difendere la propria intimità, un dolore che gli altri non possono comprendere e che lei stessa fatica a definire. Accettare la vita come qualcosa di inevitabile e soprattutto non condivisibile, continuando a raccontarsi la solita favola mentendo a se stessa: "Ho la pelle in ordine. Mi posso permettere tutto quello che mi piace. Sono sana. Tutto quello che potevo raggiungere, l'ho raggiunto. Non saprei quello che mi manca. Ce l'ho fatta. Sto bene."
Quello che Hein lancia nello stagno è un sasso che si allarga in cerchi sempre più larghi che finiscono per schizzare acqua anche si di noi: Claudia, la DDR, l'Europa…