sabato 28 febbraio 2009

Con che fiducia
posso confidare
ciò che mi preme
se a forza di pensarlo
di annientare lo spazio che separa
per convogliarmi
dentro un tempo uguale
io non lo trovo più
in nessuna parte
e questo stesso luogo
è un altro, disperso e sterminato
e anche essere qui adesso
mi è lontano.

[S. Bre: "Marmo"]

venerdì 27 febbraio 2009

I molti non colgono la vera natura delle cose in cui si imbattono, nè le conoscono dopo averle apprese, ma se ne costruiscono un'opinione.

[Eraclito: "Dell'Origine, fr. 86"]

mercoledì 25 febbraio 2009

Fili

Le praterie più ampie hanno recinti elettrici,
perché se i vecchi capi di bestiame sanno
che non devono sperdersi, i giovani vitelli
fiutano sempre acqua più pura
non qui ma dappertutto. Ciò che è al di là dei fili
li spinge a cozzare contro i fili

la cui violenza lacera i muscoli, non dà quartiere.
Da quel giorno i vitelli diventano bestie vecchie,
limiti elettrici ai loro più ampi sensi.

[P. Larkin: Fili]

sabato 21 febbraio 2009

Litoranea


Una macchina ferma dietro la curva.
Un uomo e una donna, le loro voci.
Le parole di lui, tagli nel silenzio.
Il riso di lei, profumo di fresco.

Comparse che recitano la vita, indifferenti al palco.
Pesci rossi che si corteggiano, ignari del vetro.

L'uomo ha una macchina fotografica
la donna è in posa
come statua davanti al mare.
Lui si avvicina e si allontana, cerca la messa a fuoco,
lei si aggiusta i capelli, lotta con il vento,
bella come Venere che esce dalle acque.
Fotografie,
una dietro l'altra.
Timbri sul passaporto
nodi al fazzoletto per non dimenticare.

Osservo non visto la scena:
l'uomo che sceglie la luce migliore, che regola l'esposizione,
che calcola il dettaglio e poi scatta un'altra foto.
L'uomo che rincorre la sua idea del mare,
farfalla che sfugge ogni volta
dalle maglie - troppo larghe - della rete.

Il vento di tramontana ha spazzato in un canto le nuvole,
il cielo si veste di un celeste sfacciato,
splendente come la tovaglia buona,
tirata fuori per l'occasione.

L'uomo e la donna passano,
e scattano foto.
Trofei, da esibire al ritorno,
domani, quando oggi sarà stato tanto tempo fa.

[Lars W. Vencelowe: "Mater mare"]

lunedì 16 febbraio 2009

la cabina telefonica

La donna s'accascia nella cabina, singhiozzando
al telefono. Chiede un paio di cose
e singhiozza ancora più forte. Il suo compagno, un anziano tutto
in jeans, sta lì vicino in attesa
che tocchi a lui parlare, e piangere.
Lei gli porge la cornetta.
Per un attimo restano insieme dentro
la minuscola cabina,
mescolando le loro lacrime. Poi
lei va ad appoggiarsi al parafango
della loro berlina. E ascolta
mentre lui prende accordi.

Osservo tutto questo dalla mia macchina.
Neanch'io ho il telefono in casa.
Resto seduto al volante
e fumo, in attesa di prendere
anch'io accordi. Ben presto
lui riaggancia. Esce e si asciuga il volto.
Salgono in macchina e restano
dentro con i finestrini chiusi.
I vetri s'appannano sempre più
mentre lei gli si appoggia e lui
le cinge le spalle con un braccio.
I gesti meccanici di conforto in quell'angusto luogo pubblico.

Vado con le mie monetine
verso la cabina e m'infilo dentro.
Però lascio la porta aperta, perché
si sta così stretti qui. La cornetta e ancora calda.
Non mi piace per niente usare un telefono
che ha appena portato notizie di morte.
Ma non ho scelta, perché è l'unico telefono
nel raggio di miglia e sa ascoltare
senza schierarsi da nessuna parte.

Inserisco le monete e aspetto.
Anche quei due nell'auto restano in attesa.
Lui accende il motore ma poi lo spegne.
Da che parte andare? Nessuno di noi
è in grado di dirlo. Non sapendo
dove cadrà il prossimo colpo,
ne perché. Gli squilli all'altro capo
cessano quando lei alza la cornetta.
Prima che io possa dire due parole, il telefono
si mette a gridare: “T'ho detto che è tutto finito!
Finito! Puoi anche andare
all'inferno, per quanto mi riguarda!”

Abbasso la cornetta e mi passo una mano
sulla faccia. Chiudo e riapro la porta.
I due nella berlina tirano
giù i finestrini e mi guardano,
le loro lacrime bloccate per un attimo
di fronte a questa distrazione.
Poi ritirano su i finestrini
e restano seduti dietro ai vetri. Per un po'
non andiamo da nessuna parte.
Ma poi andiamo.

[R. Carver: "Blu oltremare"]

domenica 15 febbraio 2009

quel che si dice un inizio

Il tempo sembra passare. Il mondo accade, gli attimi si svolgono, e tu ti fermi a guardare un ragno attaccato alla ragnatela. C'è una luce nitida, un senso di cose delineate con precisione, strisce di lucentezza liquida sulla baia. In una giornata chiara e luminosa dopo un temporale, quando la più piccola delle foglie cadute è trafitta di consapevolezza, tu sai con maggiore sicurezza chi sei. Nel rumore del vento tra i pini, il mondo viene alla luce, in modo irreversibile, e il ragno resta attaccato alla ragnatela agitata dal vento.

[D. Delillo: "Body Art"]

sabato 14 febbraio 2009

Davanti alle pompe funebri Biaggi



Tre vecchie sedute a sferruzzare
sul marciapiede
ogni volta che passavo.
Buonasera signore,
dicevo,
buongiorno, pure,
bello questo periodo dell'anno
per stare al mondo.

E mi fissavano
come i sordi ti fissano
in una delle loro scuole,
per sordomuti.
Due si rimettevano al lavoro,
la terza mi guardava
passare
a bocca aperta.

E questo è quanto.
Lasciai la città e quelle sempre
a sferruzzare.
Magari sono ancora lì
perchè oggi è un giorno di quel tipo,
tiepido e mite,
e penso di nuovo a loro
dopo molto, molto tempo.

[C. Simic: "Hotel Insonnia"]

domenica 8 febbraio 2009

Le donne di Vermeer


Le donne di Vermeer. Personaggi assorti nei loro pensieri, come la fanciulla che dorme (o forse sta pensando) o quella che legge una lettera presso la finestra (quante figure femminili sono ritratte nell’atto di leggere una lettera!), oppure sorpresi nell’istante in cui si voltano e sembrano fissare chi guarda il quadro quasi con stupore, come la ragazza con l’orecchino di perla, ma anche così intenti nello svolgimento di attività quotidiane, come la merlettaia, da non prestare attenzione a quello che accade intorno a loro.
Non è possibile passare davanti ad un ritratto di Vermeer con indifferenza, c’è qualcosa in quei dipinti che ti costringe a fermarti ed osservarli con attenzione. Sarà la luce che entra dalla finestra (sempre quella, sulla sinistra di chi osserva), così pulita, chiara, nitida. Sarà la semplicità, la naturalezza, la spontaneità di quelle figure femminili. Non so, qualunque cosa sia è qualcosa che ti tira dentro a un altro mondo.
Quei quadri sono tramiti, porte aperte su un’altra dimensione, buchi neri che mettono in comunicazione il nostro tempo con quello di trecentocinquanta anni fa, usando come chiave per aprire questa porta immaginaria l’immaginazione.
Le donne di Vermeer: comunque siano ritratte, riescono sempre a trasmettere il loro messaggio. Sono donne che portano dentro di sé qualcosa: un segreto, una fantasia o solamente un pensiero. Dietro l’apparente serenità di quelle figure c’è un mondo di sogno che chiede di essere evocato, di essere chiamato a vivere, non fosse altro, almeno nella nostra fantasia.
Chi ha dipinto quelle figure femminili non è solo un pittore, è un poeta.
Diffidate di chi non ama Vermeer.

[L.W.V: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

sabato 7 febbraio 2009

Felicità


Un giorno un bambino chiese al padre: “Padre, cos’è la felicità?” Il padre provò a spiegarlo cercando di utilizzare le parole più semplici, aiutandosi con esempi e con metafore. Ma il bambino non capiva, aveva bisogno di qualcosa di reale, da toccare. Il padre ci pensò un po’, poi portò al figlio un fiocco di neve. Ora il bambino era felice, almeno fino a quando del fiocco di neve che aveva preso in mano non rimase che qualche goccia d’acqua. “Padre è questa la felicità?” chiese stupito il bambino “Qualcosa che quando credi di possederla, all’improvviso ti sfugge dalle mani?” “No, figlio mio,” rispose il padre “questa è l’illusione, la falsa idea di felicità. La felicità è quello che rimane dopo, quando penserai al momento in cui avevi in mano il fiocco di neve. Quando ti sarai liberato dall’idea del possesso, solo allora potrai apprezzare la vera felicità.”

[H. Genta]

giovedì 5 febbraio 2009

Autoritratto in uno specchio convesso


[...] L'anima deve restare dov'è,
per quanto inquieta, a sentire la pioggia sul vetro,
il sospiro delle foglie autunnali sferzate dal vento,
e bramare d'essere libera all'aperto, ma deve restare
in posa in questo posto. Deve muoversi
il meno possibile. Questo dice il ritratto.
Ma in quello sguardo c'è un misto
di tenerezza, divertimento e rimpianto, tanto possente
nel suo autocontrollo, che non lo si può guardare a lungo.
Il segreto è troppo ovvio. La pena che questo ci fa brucia,
fa sgorgare lacrime ardenti: che l'anima non è un'anima,
non ha segreti, è piccola, e colma
il proprio vuoto alla perfezione: la sua stanza, il nostro istante d'attenzione.
Questa è la melodia, ma senza parola alcuna.
Le parole sono solo speculazioni
(dal latino speculum, specchio):
cercano senza poterlo trovare il senso della musica.
Vediamo solo gli atteggiamenti del sogno,
cavalcando il movimento che sventaglia il viso
nel campo visivo sotto cieli serali, senza alcuna
falsa scompaginazione come prova d'autenticità.
Ma è la vita inglobata.
Piacerebbe protendere la propria mano
fuori dal globo, ma la sua dimensione,
ciò che la sostiene, non lo concede.
Senza alcun dubbio è questo, non il riflesso
a nascondere qualcosa, a far sì che la mano si profili immensa
nel ritrarsi appena.
[...]
E proprio come non ci sono parole per la superficie, cioè,
nessuna parola per dire ciò che è in realtà, che non è
superficiale ma nucleo manifesto, così non c'è
via d'uscita dal dilemma pathos contro esperienza.
Tu continuerai a rimanere, caparbio, sereno nel
tuo gesto che non è abbraccio nè monito
ma che comprende qualcosa d'entrambi nella pura
affermazione che non afferma niente.
[...]

[J. Ashbery: "Un mondo che non può essere migliore"]

domenica 1 febbraio 2009


Mi piace passeggiare lungo la Neva, per il Campo di Marte, per il Giardino d'Estate, sul ponte Troickij, nel parco Ekaterininskij a Carskoe Selo. Mi piace camminare lungo il mare: a Ol'gino, a Lachta, a Sestroreck e alla Stazione termale. Mi piace passeggiare solo. Mi piace trovarmi tra persone delicate.

[D. Charms: "Casi"]