mercoledì 9 settembre 2009

II. Il Guardiano

[...]
Di notte, nel corso degli anni, si rimane ore e ore, a pensare a molte cose.
Ma in realtà, non si rimane a pensare a molte cose; la verità è che si rimane e nulla più.
Completamente immobili, guardando il vuoto. E - perchè non dirlo? - si diventa tristi, miserevolmente tristi.
E ciò che fa più tristezza, è se stessi - lo stare lì.
Senza sapere che fare. Senza sapere nulla di nulla.
E di colpo accade un miracolo:
quando meno te l'aspetti, inizia a piovere, e un lampo ti abbaglia - un sentimento di invulnerabilità ti avvolge,
con la pioggia.
E se ti prende la voglia di scrivere un poema evocatore, di certo non lo scrivi;
preferisci ascoltare la pioggia.
Perchè una voce interiore ti rivela che quel poema evocatore si trova nella tua tasca.
Ed è una cosa che non ti fa il minimo stupore, abituato come sei ai prodigi:
infatti, il poema ce l'hai in tasca; e lo tiri fuori, e lo guardi, e lo leggi.
E all'improvviso ti chiedi chi ne sarà stato l'autore,
come se non sapessi che non è ancora nato.



[Jaime Saenz: "Percorrere questa distanza"]

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