domenica 4 novembre 2018

Réjean Ducharme – Inghiottita




Bérénice va alla guerra.

Libro strano, meno semplice di quanto possa sembrare ad una prima lettura. Se ci si fermasse all’apparenza, ad un’analisi superficiale del tema trattato, ad uno stile fatto di frasi brevi, monologhi incentrati su sensazioni e sentimenti, narrazione in prima persona, uso di forme gergali (“vaccata di una vaccata”), registro stilistico proprio del ragazzino, sarebbe anche troppo facile rubricare quest’opera come una delle tante che trattano il tema dell’adolescenza (ormai una vera e propria narrativa di genere), considerare l’autore come uno dei milioni di epigoni più o meno riusciti di Salinger e salutare nella protagonista l’ennesima “giovane Holden” che si affaccia sul panorama letterario. Nulla di più sbagliato, perché questo libro è altro e Bérénice, la protagonista, una figura di adolescente ribelle che trova pochi uguali nella narrativa contemporanea.

È una bambina figlia di una coppia disfunzionale, di due genitori che hanno deciso di dividersi la cura dei figli. La sua educazione spetta a Einberg, il padre, che prova a crescerla secondo i dettami dell’ebraismo, mentre quella del fratello Christian è affidata a Gatta Morta (nomen omen), la madre, che dovrebbe instradarlo al Cristianesimo. Una situazione sostenibile? Ovviamente no e la vita di Bérénice sarà pesantemente influenzata dalla mancanza di amore, dalle assenze e dalle contraddizioni che un ambiente del genere comporta.
Il rischio di finire inghiottita da un mondo che reputa ostile la porta a inventarsene uno suo, dove vivere in solitudine e dove organizzare le sue difese e poi passare al contrattacco. Gli altri non servono, sono il nemico, perché è convinta che vogliano manipolarla.
E allora: offendere per non essere offesa, inghiottire per non finire inghiottita.
Costruirsi un castello nel quale esiliarsi non è impresa semplice, specialmente se sei una bambina di nove anni. Non è facile imporsi un distacco dagli affetti, perché soprattutto la madre esercita un fascino al quale è difficile sottrarsi. Eppure Bérénice lavora su se stessa alacremente, conosce le sue debolezze e si impegna per cercare di superarle. Usa la forza di volontà per soffocare le emozioni, sforzandosi di fabbricarsi un’armatura di ferro, una personalità forte, un rifugio che la protegga dagli attacchi del un mondo. Si impone di cancellare dal suo vocabolario la parola amore per sostituirla con possesso. Amare significa essere volubili, finire in trappola, preda di quei sentimenti che lei combatte. Il coinvolgimento è pericoloso, “ciò che importa è volere, è avere ciò che si vuole nell’anima”;  esercitare il potere sugli altri è “trionfare sulla loro volontà e su ciò che mi porta ad amarli”.
Di nuovo: inghiottire per non essere inghiottita.
Bérénice va alla guerra, ma fare guerra alle leggi di natura, sottrarsi a sentimenti e pulsioni connaturate alla natura umana non è un’impresa da bambini e le crepe nelle sue difese si fanno man mano evidenti: si sente brutta, si scopre a provare invidia e tristezza, preda di passioni che era convinta di riuscire a tenere fuori dalla porta. Prova a reagire alla debolezze coltivando l’odio, una furia cieca contro tutto e tutti ma la sua è una lotta impari: il rifiuto di parlare e poi l’anoressia sono i segni di un  coscienza che sta andando in frantumi. Rabbia e pietà, amore e odio, energia e rassegnazione, indifferenza e bisogno, certezze e poi dubbi… più che artefice della sua vita, Bérénice ne è vittima, passeggera di una giostra impazzita che gira a mille all’ora e che sembra costantemente sul punto di scaraventarla fuori.
Il tentativo di fuga di Bérénice dal mondo disegna una parabola destinata a trasformarsi in una discesa agli Inferi, in una caduta negli abissi dell’Io che può concludersi solo con uno schianto rovinoso e con la conseguente esplosione e frantumazione  della sua identità. A forza di tendere quelle corde che tengono insieme le contraddizioni di cui è fatta la sua coscienza, Bérénice finisce per romperle, a forza di camminare pericolosamente sulla corda del borderline, Bérénice scivola nella  psicosi, probabilmente schizofrenica.

Inghiottita è un libro duro, un atto d’accusa verso un mondo, quello degli adulti, autoreferenziale e incapace di aprirsi a quello affascinante e complesso dei bambini. “Se al mondo non ci fossero i bambini, non ci sarebbe niente di bello”, sono le parole con cui Ducharme chiude questo volume: provocatorie, probabilmente eccessive, ma vere.

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