Questo libro è un viaggio lungo
una serie di confini pericolosi: quello tra letteratura persiana classica e
moderna (possiamo parlare di un modernismo di sostanza più che di forma),
quello tra Oriente ed Occidente (diversi sono i riferimenti a simbolismo, Kafka
e per certi versi anche al Rilke dei Diari
di Malte Laurids Brigge), ma soprattutto i confini che separano cosciente e
subconscio, sonno e veglia, vita e morte.
Hedayat si avventura in territori
nei quali le certezze vengono meno, verità e realtà si trasformano in
contenitori che il viandante riempie con
quello che trova lungo il percorso. Siamo nel regno del sogno e del mistero,
dove tutto è possibile e provvisorio. I sensi hanno esaurito la loro funzione
di guida, qui ci si affida all'istinto, a pensieri non più governati dalla
logica ma dall'immaginazione.
La
civetta cieca è un monologo con una
trama non lineare ma costituito da eventi e immagini che si succedono in un
eterno presente che ricorda la concezione bergsoniana del tempo. Una narrazione
allucinata ricca di elementi ricorsivi e di simboli, una camminata sull'orlo dell'abisso che
attrae e spaventa al tempo stesso, la ricerca disperata di qualcosa che possa
sostituire questa vita che provoca solo dolore, quel dolore che il protagonista riesce ad alleviare
grazie all'oppio e all'alcol. La ricerca di un mondo interiore da opporre a
quello degli altri.
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