sabato 30 marzo 2019

Marina Cvetaeva – Taccuini 1919-1921



"Io accolgo tutto come se me ne fossi già separata in anticipo."

Operazione coraggiosa e meritoria di Voland, perché probabilmente l'importanza letteraria e il valore storico dei Taccuini di Marina Cvetaeva sono inversamente proporzionali al  numero di copie che questo libro riuscirà a vendere.
Un autoritratto senza sconti, una lettura dalla quale emerge la figura di una pessima madre (almeno nei confronti della seconda figlia Irina) ma anche quella di una donna per la quale vita e poesia costituirono un unicum indivisibile (in questo mi ha fatto pensare a Sylvia Plath). Di più: una donna per la quale gli avvenimenti della vita – gli amori, ma non solo – rappresentarono la materia sulla quale poté esercitare la propria arte, il substrato su cui edificare un vertiginoso castello di parole e sentimenti ("Amo tutto ciò che mi fa battere forte il cuore. Sta tutto qui").
La realtà come tramite verso qualcosa di più alto: "ora, a 27 anni, mi piacerebbe provare a vivere per…", scrive a un innamorato, "Non per Voi – Mio Dio! – Voi non ne avete bisogno (e per questo non ne ho neanch'io!) – ma per così dire attraverso di Voi, - insomma Voi potete prendermi per mano e condurmi direttamente a Dio". E ancora: "per me 'scrivetemi' è lo stesso che 'amatemi', perché amare senza scrivere posso ancora farlo, mentre scrivere senza amare...".
La poesia sopra ogni cosa:  "Voi siete troppo convinto che i versi siano solo versi. Non è così, per me non è così, io, quando scrivo, sono pronta a morire! E molto tempo dopo, rileggendo, mi si spezza il cuore. Io scrive perché non riesco a dare questo (la mia anima!) – altrimenti".


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