[...]
Di notte, nel corso degli anni, si rimane ore e ore, a pensare a molte cose.
Ma in realtà, non si rimane a pensare a molte cose; la verità è che si rimane e nulla più.
Completamente immobili, guardando il vuoto. E - perchè non dirlo? - si diventa tristi, miserevolmente tristi.
E ciò che fa più tristezza, è se stessi - lo stare lì.
Senza sapere che fare. Senza sapere nulla di nulla.
E di colpo accade un miracolo:
quando meno te l'aspetti, inizia a piovere, e un lampo ti abbaglia - un sentimento di invulnerabilità ti avvolge,
con la pioggia.
E se ti prende la voglia di scrivere un poema evocatore, di certo non lo scrivi;
preferisci ascoltare la pioggia.
Perchè una voce interiore ti rivela che quel poema evocatore si trova nella tua tasca.
Ed è una cosa che non ti fa il minimo stupore, abituato come sei ai prodigi:
infatti, il poema ce l'hai in tasca; e lo tiri fuori, e lo guardi, e lo leggi.
E all'improvviso ti chiedi chi ne sarà stato l'autore,
come se non sapessi che non è ancora nato.
[Jaime Saenz: "Percorrere questa distanza"]
mercoledì 9 settembre 2009
domenica 6 settembre 2009
Poesia inconclusa
Io che non credo più in quel che scrivo
che mento quando evidenzio sfumature
in quel che davvero importa, io, ai venti e più anni
della mia vita, a Oviedo, dichiaro
che hanno ragione le cose che fuggono,
il fumo di sigaretta, l'aria che respiro,
la vita che sfugge dalle mie mani
come acqua in una cesta.
Io, che questa notte ho freddo
e là scorgo lontana, appartata,
la luce di una finestra di chi non mi aspetta,
io, che feci tutto quello che volli
e feci tutto quello che non ho voluto,
io ho come destino l'incertezza
e come passato la nostalgia
di ciò che non ho vissuto.
In silenzio ho pensato al silenzio.
Il silenzio incerto e pensoso, crudele
quando qualcuno aspetta una mia parola
(io non penso a niente, guardo il soffitto, mi assopisco
e sogno impossibili vite che sottintendo).
In silenzio ho pensato a te, e anche
a te, vita mia, perché ti perdo e canto
quel che speravo di aver e non ho.
Io conosco la luce di una finestra, di notte,
e l'essere coperto da quella luce
dolce e bionda come la luce del sole sul grano.
Io conosco la vigliaccheria degli anni
e il piede che inciampa nei tappeti
e l'essere inopportuno, fuori tempo, che entra in me
e non vuol più uscire. Io, Xuan Bello,
che ho trascorso la vita a leggere libri,
che volli vivere da questo lato dello specchio
che mento quando evidenzio sfumature
in quel che davvero importa, io, ai venti e più anni
della mia vita, a Oviedo, dichiaro
che hanno ragione le cose che fuggono,
il fumo di sigaretta, l'aria che respiro,
la vita che sfugge dalle mie mani
come acqua in una cesta.
Io, che questa notte ho freddo
e là scorgo lontana, appartata,
la luce di una finestra di chi non mi aspetta,
io, che feci tutto quello che volli
e feci tutto quello che non ho voluto,
io ho come destino l'incertezza
e come passato la nostalgia
di ciò che non ho vissuto.
In silenzio ho pensato al silenzio.
Il silenzio incerto e pensoso, crudele
quando qualcuno aspetta una mia parola
(io non penso a niente, guardo il soffitto, mi assopisco
e sogno impossibili vite che sottintendo).
In silenzio ho pensato a te, e anche
a te, vita mia, perché ti perdo e canto
quel che speravo di aver e non ho.
Io conosco la luce di una finestra, di notte,
e l'essere coperto da quella luce
dolce e bionda come la luce del sole sul grano.
Io conosco la vigliaccheria degli anni
e il piede che inciampa nei tappeti
e l'essere inopportuno, fuori tempo, che entra in me
e non vuol più uscire. Io, Xuan Bello,
che ho trascorso la vita a leggere libri,
che volli vivere da questo lato dello specchio
(qui non c'era più vita),
io che conosco il mare attraverso quel che ho scritto
e la luce del giorno attraverso quel che altri hanno scritto,
fui felice e fui infelice, mi amarono e amai
con un amore che intreccia sguardi e concetti.
Passeggio per la strada e guardo i volti della gente.
Di mattina, nei piccoli negozi di Pumarìn
(dove si scambia la conversazione al cinque per cento)
parlai cortese, educato, e chiesi alla vita che non dolesse.
Ma il pomeriggio entrò al galoppo e passarono anni,
il pomeriggio entrò al galoppo nella mia vita
come un cavallo vecchio che corre per non fermarsi,
il pomeriggio venne con le luci grigie e senza pioviggine.
Il pomeriggio ha portato solitudine, vecchi versi riletti
con passione ormai simulata. Ammuffiti versi vecchi che qui ripeto
fingendo passione, fingendo amore, fingendo di essere queste parole che pronuncio.
Ci furono barche che vidi nel porto e in cui mai mi imbarcai.
Ci furono deserti che percorsi, sulle mappe, con il dito.
Ci furono donne che amai, di un amore muto,
e che proseguirono oltre, senza vedermi.
[Xuan Bello]
sabato 5 settembre 2009
Elogio della noia
niente di rilevante
niente di memorabile
niente di memorabile
avviene
soltanto essere ed esserci
ad ampio raggio
diffusa lontananza
la scala scende
i rumori si offuscano e riducono
sibilo
appena
vaghe risonanze
s'attutisce la gamma
le ansie son sedate
tutto tace
dove sono?
chi sono?
tenue aspettativa
ascolto il mio polso
sfiorare di foglie
carte sfogliate
o stropicciate
ascolto nella calma
i suoni declinanti
bisbiglio remoto
nel mutismo della notte cieca
mondo a riposo
rumore di fondo
niente succede nessuno
soltanto il tuo trascorrere
niente succede
a parte
il tuo transito
dimuniure l'avanzare
ritardare il tuo accadere
guadagnare tempo di vita
ciò che si intravede
forse
ciò che si avvicina e non si vede
ciò che si intuisce e non si tocca
abbandonarsi
lasciarsi possedere dal diffuso riposo
non più contenitore
acqua stagnante e basta
registro in bianco
non più catena di avvenimenti
bensì il tuo vago deambulare
lenta stella sospesa
la nuvola
prima di disssiparsi
prima di perdersi
nell'aria indistinta del tuo sogno.
[Saùl Yurkievich: "Sogno dell'occhio e dello specchio"]
mercoledì 2 settembre 2009
Non essendo che uomini
Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi
Spauriti, pronunciando silabe sommesse
Per timore di svegliare le cornacchie,
Per timore di entrare
Senza rumore in un mondo di ali e di stridi.
Se fossimo bambini potremmo arrampicarci,
Catturare nel sonno le cornacchie, senza spezzare un rametto,
E, dopo l'agile ascesa,
Cacciare la testa al di sopra dei rami
Per ammirare stupiti le immancabili stelle.
Dalla confusione, come al solito,
E dallo stupore che l'uomo conosce,
Dal caos verrebbe la beatitudine.
Questa, dunque, è leggiadria, dicevamo,
Bambini che osservano con stupore le stelle,
E' lo scopo e la conclusione.
Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi.
[Dylan Thomas: "Poesie inedite"]
Spauriti, pronunciando silabe sommesse
Per timore di svegliare le cornacchie,
Per timore di entrare
Senza rumore in un mondo di ali e di stridi.
Se fossimo bambini potremmo arrampicarci,
Catturare nel sonno le cornacchie, senza spezzare un rametto,
E, dopo l'agile ascesa,
Cacciare la testa al di sopra dei rami
Per ammirare stupiti le immancabili stelle.
Dalla confusione, come al solito,
E dallo stupore che l'uomo conosce,
Dal caos verrebbe la beatitudine.
Questa, dunque, è leggiadria, dicevamo,
Bambini che osservano con stupore le stelle,
E' lo scopo e la conclusione.
Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi.
[Dylan Thomas: "Poesie inedite"]
domenica 30 agosto 2009
Quel che si dice un finale (2)
[...] A quel punto Laura ha alzato lo sguardo per incrociare il mio. Era uno sguardo penetrante e il cuore ha rallentato i battiti. Mi ha fissato negli occhi per quello che mi è parso un lungo periodo e poi ha annuito. Non ha fatto altro, è stato il suo unico segnale, ma è bastato. Era come se mi stesse dicendo: Non ti preoccupare, supereremo anche questa, andrà tutto bene, vedrai. Pian piano, tutto s'aggiusta. Ad ogni modo, così ho scelto di interpretare quello sguardo, anche se può darsi mi sbagliassi.
La doccia ha smesso di scorrere. Dopo un attimo, ho sentito Herb fischiettare aprendo la porta del bagno. Ho continuato a guardare le donne accanto al tavolo. Terri stava ancora piangendo e Laura le carezzava i capelli. Sono tornato a guardare fuori dalla finestra. La striscia azzurra del cielo aveva ceduto e stava diventando scura come il resto. Mi erano apparse le stelle. Ho riconosciuto Venere e oltre, di lato, non altrettanto luminoso ma inconfondibile, laggiù sull'orizzonte, Marte. Il vento s'era rafforzato. Ne ho osservato gli effetti sui campi deserti. Irrazionalmente ho pensato che era un peccato che i McGinnis non tenessero più cavalli. Volevo immaginare cavalli in corsa attraverso quei campi nel crepuscolo, o magari anche fermi in piedi con le teste in varie direzioni, accanto alla staccionata. Sono rimasto alla finestra, in attesa. Sapevo che dovevo star lì fermo ancora per un pò, continuare a puntare lo sguardo là fuori, oltre la casa, fintanto che c'era ancora qualcosa da vedere.
[Raymond Carver: "Principianti"]
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