domenica 15 gennaio 2012

Della ricerca di una prospettiva più ampia

Se sappiamo che il nostro mondo è sempre il mondo con cui veniamo in contatto insieme ad altri, ogni volta che ci troviamo in contraddizione od opposizione con un altro essere umano con il quale vorremmo convivere, il nostro atteggiamento non potrà essere quello di riaffermare ciò che vediamo dal nostro punto di vista, ma quello di ammettere che il nostro punto di vista è il risultato di un accoppiamento strutturale in un dominio di esperienze valide tanto quanto quello del nostro interlocutore, anche se il suo ci appare meno desiderabile. Quello che resta da fare, allora, è la ricerca di una prospettiva più ampia, di un dominio di esperienza in cui anche l'altro abbia un posto e nel quale possiamo costruire un mondo con lui.
L'unicità dell'essere umano, il suo patrimonio esclusivo, consiste in questo, nell'attribuirsi un accoppiamento strutturale sociale in cui il linguaggio ha un doppio ruolo: da una parte quello di produrre le regolarità proprie dell'accoppiamento strutturale sociale umano, che comprende, fra l'altro, il fenomeno delle identità personali di ognuno; dall'altro quello di costituire la dinamica ricorsiva dell'accoppiamento strutturale sociale, che produce la riflessione che a sua volta dà luogo all'atto di osservare con una prospettiva più ampia, all'atto di uscire da quello che finora era invisibile o inamovibile, permettendo di vedere che come esseri umani abbiamo solo il mondo che creiamo insieme agli altri. A questo atto di ampliamento del nostro dominio conoscitivo riflessivo, che implica sempre una nuova esperienza, possiamo giungere o perché i nostri ragionamenti sono rivolti verso esso, oppure, e più direttamente, perché qualche circostanza ci porta a guardare l'altro come uguale a noi, in un atto che generalmente chiamiamo di amore, o, se non vogliamo usare una parola tanto forte, di accettazione dell'altro da parte di qualcuno nella convivenza.

[Humberto Maturana Francisco Varela: "L'albero della conoscenza"]

domenica 8 gennaio 2012

Il museo dei pesci morti

In questa raccolta di racconti D'Ambrosio ci conduce per mano attraverso un'umanità dolente, in cammino verso una destinazione che non conosce e che forse neppure importa quale sia. Un'umanità che, come dice il personaggio di uno dei racconti, "non poteva fare altro che vivere la sua vita, proprio come me e come lei".
Sono uomini soli quelli che abitano questi racconti, uomini che sotto le vesti di un'apparenza come tante nascondono ferite mai rimarginate, uomini che si portano dietro un dolore difficile da dire e (forse per questo) impossibile da condividere.
Mi piace la capacità di D'Ambrosio di raccontare queste storie irrisolte in maniera onesta, senza ricorrere a trovate e colpi di scena, affidandosi unicamente alla forza della trama ed a una scrittura lineare, precisa, ma che non ha bisogno di ricorrere alla scorciatoia di un facile del minimalismo, privilegiando la sostanza alla forma.

[Charles D'Ambrosio: "Il museo dei pesci morti"]

sabato 7 gennaio 2012

Quindici anni in una pagina

Persistendo nella sua condizione di sonnambulismo, Aglaja perse il controllo sullo scorrere del  tempo, non sapeva più cosa era accaduto un giorno o cinque anni prima, e cosa le stava succedendo ora. Si accorgeva solo delle manifestazioni particolari di quei cambiamenti globali: la vodka era in vendita dalle undici, poi dalle due, poi dalle cinque, poi tutte le ventiquattro ore. 
Di tanto in tanto, accendendo la televisione,vedeva i funerali di un pezzo grosso sulla Piazza Rossa. Uno veniva seppellito, l'altro teneva il discorso ufficiale. Chiudeva un attimo gli occhi, li apriva: e già stavano seppellendo quello che aveva appena parlato e quello che parlava ora lo dovevano sorreggere. Chiudeva, apriva - sentiva le parole: perestrojka, accelerazione, glasnost'. Sullo schermo apparivano meeting, bandiere, manifesti, il popolo incitava: "Boris, sbaragliali!" Boris gettò la tessera di partito sul tavolo, si arrampicò su un carrarmato, dal carrarmato spararono sulla Casa Bianca, fu inaugurata l'economia di mercato. Arrivò la postina, portò la pensione: trecentomila rubli. Aglaja pensò: niente male! Aveva paura ad andare in giro con tagli così grossi, raccattò tre rubli e sessantadue copechi di moneta e corse al negozio a prendersi una bottiglia. "Ehi, mammetta, vieni giù dalla luna?" le dissero. "Perché?" "Come perché!" "La vodka non costa tre rubli e sessantadue, ma venticinquemila." Ripiombò nella realtà e si spaventò. Comprava la vodka ogni giorno e si era abituata all'aumento dei prezzi, ma qui era come se le fossero scivolati via dalla memoria anni interi. Corse a casa, prese quello che le era necessario, e poi tornò indietro per andare al Comitato principale del partito a chiedere quando sarebbe finito quel casino. E invece, là dove cercava il Comitato del partito, trovò il casinò "La ruota della fortuna" con lo show erotico "Volo notturno". Fermò un ragazzino che passava di lì in bicicletta e gli chiese se sapeva dove avevano trasferito il comitato provinciale del PCUS. Lui chiese: "PUS cosa?" E dopo esserselo fatto ripetere una seconda volta senza capire, se ne andò. In cortile incontrò Babalja e lei le spiegò che negli ultimi anni era stato restaurato il capitalismo, il PCUS si era sciolto, presto Lenin sarebbe stato portato via dal Mausoleo e la famiglia imperiale sarebbe stata sepolta con tutti gli onori a San Pietroburgo. A Leningrado, la corresse Aglaja. Ma venne fuori che non c'era più nessuna Leningrado, c'era San Pietroburgo.
Aglaja uscì per strada, scambio il voucher per una bottiglia e cadde di nuovo in letargo.

[Vladimir Vojnovic: "Propaganda monumentale"]