domenica 10 giugno 2012

esiste bellezza paragonabile a quella d'una osteria a primo mattino?



“tu non mi capisci se credi che siano tutte tenebre quelle che vedo, e se insisti nel crederlo, come posso dirti perché lo faccio? Ma se guardi la luce del sole là, oh, allora forse avrai la risposta, capisci, guarda il modo in cui essa penetra attraverso la finestra: esiste bellezza paragonabile a quella d'una osteria a primo mattino? I tuoi vulcani fuori? Le tue stelle... Ras Algethi? Antares che infuria a sud-est? Perdonami, no. Non tanto la bellezza necessariamente proprio di questa, che, decadenza da parte mia, non è forse una vera e propria osteria, ma pensa a tutte quelle terribili altre, dove la gente impazzisce all'idea che calino le saracinesche, perché nemmeno le porte del cielo, spalancandosi a ricevermi, potrebbero colmarmi d'una così celeste gioia, complessa e disperata come quel crivello di ferro che si arrotola all'insù con uno schianto, come quelle porte battenti, non affrancate da chiavistelli di sorta, che sospinte danno accesso a chi ha l'anima che trema insieme con il liquore che si porta con mano malferma alle labbra. Ogni mistero, ogni speranza, ogni delusione, sì, ogni disastro, è qui, oltre quelle porte battenti. E, a proposito, vedi quella vecchia di Tarasco seduta in un angolo, non la vedevi prima, ma la vedi ora?” le domandarono gli occhi di lui, guardando intorno con la lucentezza stupefatta e sfocata di quelli di un amante, le chiese, l'amor suo, “come puoi, a meno che tu non beva come me, sperare di capire la bellezza di una vecchia di Tarasco che viene qui a giocare a domino alle sette del mattino?”

[Malcolm Lowry: “Sotto il vulcano”]

domenica 3 giugno 2012

Mértola


C’erano sogni che Maria faceva con una certa frequenza: un gruppo di case, o una Chiesa, o un castello e lei che passeggiava, da sola, per questi posti. Fin qui niente di strano. Lo strano era che questi sogni si ripetevano; quei luoghi potevano apparire ora in maniera più precisa, ora più vaga, ma erano sempre gli stessi, non cambiavano mai e non corrispondevano a nessuno che lei conoscesse.
Due sere prima, ad esempio, aveva sognato il castello. Questa volta si trovava sui bastioni da dove poteva dominare con lo sguardo tutta la vallata, quel panorama che col tempo le era diventato familiare: colline basse e povere di vegetazione, un agglomerato non molto esteso di case bianche con i tetti rossi e poi il fiume, poco distante. 

Un altro sogno che Maria faceva di frequente era quello della strada. Dovevano essere le prime ore del pomeriggio e Maria camminava lungo questa strada sotto un sole estivo. Il cielo era una tavola di un blu luminoso ed uniforme, senza una nuvola, il silenzio interrotto solo dal rumore dei suoi tacchi sui sanpietrini che pavimentavano la via. Intorno non c’era nessuno, non una macchina, non un cane, lontano solo il frinire delle cicale.

Il castello del sogno aveva una grande torre ed altre torrette più piccole di difesa. Una porta ad arco apriva in una sala con il soffitto a volta, attraverso un corridoio di roccia si accedeva alla piazza d’armi, nel mezzo della quale c’era una costruzione cilindrica semi-diroccata: un pozzo, forse una cisterna.












A volte Maria sognava la Chiesa. Una Chiesa strana, diversa da quelle alle quali era abituata, bianchissima all’esterno con grandi merloni e torrette cilindriche. Non la tipica Chiesa a pianta rettangolare, ma una Chiesa quadrata, con un grande salone centrale e due navate laterali. A volte passeggiava lungo le navate addobbate con i pannelli che raffiguravano le stazioni della Via Crucis, altre volte arrivava fin davanti all’altare, dietro al quale c’era una nicchia contornata da strani pilastri arabeggianti.

[Lars W. Vencelowe: "Prove di fuga"]



sabato 2 giugno 2012

Paul Buchanan - Mid Air


Attenzione: probabilmente questo è il CD più importante dell'anno. Forse del decennio.

domenica 27 maggio 2012

Dimissioni dalla lotta




Sono piovuto su un mare d’argento
un giorno di brezza leggera.
Intorno a me persone in maschera
nuotavano da millenni
rincorrendo bolle di sapone
che un vento capriccioso
spingeva un po’ più in là.
Il cielo era vestito dalle voci
di gente che chiedeva,
ma il suono del mare
copriva le risposte.
La riva era un miraggio
che si dissolveva
quando credevi
di averlo raggiunto.

Ho provato a seguirli,
ho rincorso oggetti e idee
cambiando più volte direzione.
Ho cercato rifugio
nelle profondità marine
per nascondermi dagli altri.
Ma ogni volta che il fondo
sembrava a portata di mano
mi spingeva via
ed io tornavo a galla
deluso e senza fiato.

Per soddisfare la sete dei miei sogni
non ho trovato nient'altro
che un contagocce consumato.
Stanco di girare in tondo
e di vagare senza meta
ho ammainato le vele
e mi sono arreso.
Sdraiato sul dorso
ho smesso di nuotare.

Dimesso dalla lotta
mi sono lasciato portare.

[Lars W. Vencelowe: "Mater mare"]