sabato 16 aprile 2016

Juan Carlos Onetti – Il pozzo


Tutto nella vita è merda, e adesso siamo ciechi nella notte, attenti e senza capire.

Un uomo che cammina in una stanza: “giravo con le mani dietro la schiena, ascoltando le pantofole che sbattevano sulle piastrelle, annusandomi a turno le ascelle”.

Un ricordo evocato: la spalla arrossata di una prostituta.

E ancora: la quotidianità della vita che scorre distratta fuori dalla finestra.

Poi, improvviso e malinconico, il pensiero che il giorno seguente compirà quarant’anni, l’età dei bilanci, che forse è arrivato il momento di mettere su carta.

“Ma oggi voglio qualcosa di diverso. Qualcosa di meglio della storia di quel che non è successo. Mi piacerebbe scrivere la storia di un’anima, di lei sola, senza gli avvenimenti con cui, volente o nolente, ha dovuto mescolarsi. Altrimenti sogni.”

Andare dritti all’essenza, senza scorciatoie o divagazioni. Ma un’essenza che prevede la frequentazione di piste poco battute, strade impervie, pericolose.

C’è tutto Onetti in questo incipit, o almeno una gran parte. La capacità di trattare vita e sogno come pochi sanno fare, con l’abilità di un chimico che tiene le due sostanze in contenitori diversi per poi farle reagire e studiare cosa ne può scaturire.

Eladio Linacero è un uomo diviso tra il bisogno di sentirsi compreso e la consapevolezza che ciò non è possibile, perché “non c’è nessuno che abbia un cuore puro, nessuno davanti al quale sia possibile mettersi a nudo senza vergogna.”

“È come con un’opera d’arte. C’è soltanto un piano sul quale può essere intesa. Peccato però che la fantasticheria si ferma lì, nessuno ha inventato il modo di esprimerla, il surrealismo è retorica. Soltanto da soli, a volte, nella zona fantastica della propria anima.”

Solitudine, quindi. Una strada senza uscita che ti spinge ancora di più a non aprirti agli altri e ad essere te stesso solo nei tuoi sogni.

Nonostante Eladio ci racconti (e soprattutto si racconti) di non passare le sue giornate a immaginare cose, ma di vivere, è evidente come cerchi in realtà di darsi un contegno, un’apparenza di vita sociale. Troppo forte è la discrepanza che avverte tra il valore che si attribuisce alle persone e quello dei sentimenti (l’assurdità “di dare più importanza allo strumento che alla musica”), per poter fingere di essere come gli altri.

I sentimenti sono troppo potenti per poter essere equiparati a qualcosa o qualcuno. Come l’amore, quello che c’era tra lui e Cecilia, la ragazza da cui sta divorziando: amore che “come un figlio” era “uscito da noi. Lo nutrivamo, ma lui aveva una sua vita separata. Era meglio di lei, molto meglio di me. Come fai a paragonarti a quel sentimento.”

Già, con i sentimenti non c’è partita: hai voglia di star lì a cercare di chiuderli da qualche parte, loro sono fatti per gli spazi aperti e finiscono per travolgere ogni steccato. Che è quello che succede quando l’immaginazione torna a bussare alla porta di Eladio per reclamare spazio, una fantasticheria così bella e perfetta (vedere Cecilia che scende la rambla con un vestito bianco) che chiede di essere replicata, di vivere nella vita vera, anche se è notte. Pretendere di spiegare agli altri il proprio mondo interiore che tracima all’esterno è impossibile, figuriamoci se si può sperare che possano addirittura comprenderlo…

Questo è il dramma di Eladio: avrebbe bisogno di sapere che anche gli altri sognano, che anche loro hanno fantasticherie, pensieri incontaminati, così diversi dalle bassezze della quotidianità. Amore, amicizia, innocenza: questi sono i sentimenti puri, porte d’accesso a un’intimità “vera”, lettere di un alfabeto diverso che permetta di scrivere secondo il linguaggio dell’anima, strumenti per costruire ponti che facciano comunicare le persone davvero, senza secondi fini o strategie.

Un’utopia, probabilmente.

mercoledì 6 aprile 2016

domenica 3 aprile 2016

César Aira – Come imbalsamare animaletti mutanti





Lo scrittore è un falsificatore

Libretto curioso. A metà tra il divertissement e il progetto eversivo.
La storia di Varamo,  uno scrivano di terza categoria (una specie di Bernardo Soares pessoano) e di come una disavventura rappresentata dal pagamento con due banconote false entri nella sua vita per stravolgerla al punto da farlo diventare l’autore dell’ “osannato capolavoro della moderna poesia contemporanea, il canto del bambino vergine” (e va da sé come solo un autore sudamericano – César Aira è argentino – potesse partorire una trama del genere).
Come imbalsamare animaletti mutanti è un romanzo breve, raccontato con stile “colloquiale” che almeno nella prima parte ricorda Saramago per l’attenzione al lettore,  il renderlo partecipe di quello che succede al protagonista, di cosa egli pensa, di come analizza le cose nei particolari per immaginare i possibili scenari che ogni sua mossa potrebbe innescare.
Varamo è un abitudinario, consapevole del fatto che tutto quello che esce dalla routine rischia di disintegrare le fragili certezze sulle quali ha costruito la sua esistenza; la novità rappresentata dalle due banconote false è un pericolo, una porta sull’ignoto che lo costringe a confrontarsi con pensieri mai considerati fino a quel momento, a fare i conti con le sue insicurezze, ad improvvisare. In quest’ottica, anche l’hobby del protagonista (la sua via di fuga da un’esistenza in genere malinconica e insoddisfacente), imbalsamare piccoli animali, in realtà è meno stravagante di quanto possa sembrare: in fondo Varamo cercava solo di fermare l’attimo, “cristallizzare” il momento. Un po’ quello che stava facendo della sua vita.
Dalla metà in poi il racconto subisce un’accelerazione improvvisa. Da quando il protagonista della storia esce di casa per recarsi al caffè è tutta un’esplosione di fuochi d’artificio che si succedono senza continuità, alla quale si fatica a star dietro: le Voci che risuonano nella testa di Varamo quando passa in un punto preciso del percorso, un incidente stradale che coinvolge l’auto che trasporta il Ministro dell’Economia, la scoperta delle gare “di regolarità”, la casa delle Góngora, due sorelle creole che contrabbandano mazze da golf, la comparsa di Caricias, “l’ultima donna”, il quaderno con i codici cifrati per comunicare con le navi che trasportano la merce da contrabbandare ( o che vengono da Haiti per invadere Panama), l’identità tra denaro e discorso indiretto libero…
E poi l’incontro nel caffè con tre editori alla ricerca di qualcosa di originale da pubblicare. E cosa c’è di più originale dell’hobby di Varamo, di come imbalsamare animaletti mutanti? Poco importa la trama, quello che conta è il titolo, per riempire il libro saranno sufficienti annotazioni trascritte una di seguito all’altra, senza bisogno di elaborarle troppo.

Come imbalsamare animaletti mutanti è un libretto che prende in giro gli strumenti letterari: è metanarrativa, critica del discorso indiretto libero, messa in discussione dei meccanismi causa-effetto… Interessante e convincente è il modo di procedere di Aira nella sua analisi, la capacità di coniugare complessità e leggerezza, dando l’impressione di non prendersi mai troppo sul serio. Procede portando il ragionamento all’estremo, ad avvitarsi su se stesso fino a creare un vortice, un mulinello che rischia di inghiottire al suo interno personaggi della trama, autore e lettore… ma poi si ferma. Arriva sul bordo del precipizio ma si blocca un attimo prima di piombarci dentro, gioca con la vertigine, senza “intellettualismo”, saccenza o pedanteria ma casomai con curiosità.
Aira è un autore indubbiamente originale, che esplora il mondo mescolando verità e fantasia, applicando le leggi della logica all’immaginazione, per vedere l’effetto che fa, perché “lo scrittore è un falsificatore malgré lui che lasciava le sue tracce cifrate”.

sabato 26 marzo 2016

Saul Bellow – Herzog


Sono contento di essere, di essere proprio come si vuole che sia, e per tutto il tempo che potrò restarne l'inquilino.”

Semplicemente uno dei capolavori del Novecento.
La storia di Moses Herzog,  professore universitario che colto dal secondo divorzio proprio mentre si trova nel mezzo del cammin di nostra vita, vede andare in frantumi gli equilibri sui quali credeva fosse basata la sua esistenza e si trova a riflettere su cosa è successo e perché. Herzog è simile a un naufrago che si risveglia su un’isola sperduta e vaga spaesato sulla spiaggia, alla ricerca di oggetti, frammenti e ricordi che possano aiutarlo a ricostruire quello che è successo e a pianificare un futuro che appare quanto mai incerto. Noi siamo quel naufrago, noi siamo Herzog, e il fatto che dalla pubblicazione di questo libro siano trascorsi cinquant’anni non sembra aver diradato le nebbie nelle quali ci dibattiamo, ma sembra anzi aver ingarbugliato ancor di più la matassa, conferendo – se possibile – più forza e attualità all’opera di Bellow.
Molto interessante (dostoevskijano, quasi) è l’approfondimento psicologico della figura del protagonista, che l’autore tratteggia non mancando di sottolinearne anche le contraddizioni:
“Che tipo era? Be', per dirla con una definizione moderna, era un narcisista; un masochista; e anacronistico. Il suo era il quadro clinico del depressivo - non grave.”
Herzog si definisce un invidioso, un uomo non eccessivamente competitivo, generoso e un po’ immaturo, ambizioso ma cosciente di avere poco senso pratico (e, con buona pace di quanto afferma Bellow, per niente anacronistico). Il nostro eroe (o anti-eroe) è un soldato che va alla guerra consapevole che l’armamentario di cui dispone e le istruzioni che ha ricevuto sono del tutto inadeguati, eppure non può sottrarsi al combattimento.
L’obiettivo che Herzog/Bellow/l’intellettuale moderno  si pone è decisamente alto:
“dare una nuova visione della condizione dell'uomo moderno, dimostrare come la vita possa essere vissuta rinnovando continuamente il sistema di rapporti universale; abbattere l'ultimo degli errori dei romantici sull'unicità dell'Io; correggere la vecchia ideologia faustiana dell'Occidente e indagare sul significato sociale del Nulla.”
Per esplicitarlo l’autore sviluppa un “romanzo di idee”: il rischio dietro l’angolo è quello del patchwork, dell’inserimento cioè nella narrazione di una serie di riflessioni sugli argomenti più disparati che rischiano di compromettere la coesione dell’opera. La struttura epistolare è l’espediente escogitato da Bellow per superare brillantemente il problema.
Cosa rappresentano le lettere che il protagonista scrive e poi non spedisce a personaggi di ogni genere ed epoca a proposito di filosofia, psicologia, matrimonio, politica, etica, costume… a proposito della vita? Sicuramente un modo di affermare delle tesi, di esporre un punto di vista. Perché non vengono spedite? Probabilmente perché sono cose che Herzog ha bisogno di dire a se stesso: è lui il destinatario di queste missive, è lui quello che deve convincersi di quanto afferma. Le lettere di Herzog rappresentano un bisogno di fare ordine, di chiarirsi almeno in parte le idee, e nel momento in cui le scrive acquistano verità.
È anche grazie alle lettere che Herzog riuscirà faticosamente a costruirsi  una specie di equilibrio, un ordine parziale, personale e probabilmente anche provvisorio,  ma pur sempre un ordine, che consiste in una sostanziale constatazione e accettazione dell’ambiguità del mondo, una stabilità forse apparente ma che gli permetterà di guardare alle cose con maggiore indulgenza:

“In tutti i modi, posso pretendere di avere una gran scelta? Mi guardo e vedo torace, cosce, piedi - una testa. Questa strana organizzazione, io lo so che morirà. E dentro - qualche cosa, qualche cosa, felicità... «Tu mi muovi.» Che scelta ti lascia? Nessuna. Qualcosa produce l'intensità, un sentimento sacro, così come gli aranci producono l'arancione, l'erba il verde, gli uccelli calore. Certi cuori sgorgano più amore, altri, pare, di meno. Significa qualche cosa? Ci sono quelli che dicono che questo prodotto dei cuori è conoscenza. «Je sens mon coeur et je connais les hommes.» Ma la sua mente si distaccò ora anche dal suo francese. Non lo potrei dire, con sicurezza. Il mio viso troppo cieco, la mia mente troppo limitata, i miei istinti troppo ristretti. Ma questa intensità, non significa niente? È una gioia idiota che fa esclamare questo animale, l'animale più singolare di tutti, che gli fa esclamare qualche cosa? E lui crede questa reazione un segno, una prova, dell'eternità? E ce l'ha in petto? Ma non ho argomenti da contribuire a questo proposito. «Tu mi muovi.» «Ma che cosa vuoi, Herzog?» «Ma è proprio questo il punto - un bel niente. Sono contento di essere, di essere proprio come si vuole che sia, e per tutto il tempo che potrò restarne l'inquilino.”