domenica 9 dicembre 2018
sabato 8 dicembre 2018
Julio Cortázar – Rayuela. Il gioco del mondo
Rayuela è un romanzo sperimentale sospeso tra Francia ed
Argentina, tra surrealismo (e patafisica) e tradizione. Rayuela è un mandala, Rayuela
è un gioco. Rayuela è una bomba
piazzata nel bel mezzo dei romanzo che lo fa esplodere in mille pezzi; parole
che schizzano da tutte le parti imbrattando i muri della storia e che noi ci
affanniamo a rincorrere e poi raccogliere per provare a incollarle di nuovo
insieme in modo da ricostruire un discorso che abbia un senso, per riallacciare
i fili di una trama che abbia una logica che ci tranquillizzi. E mentre noi ci
sforziamo di ricostruire il puzzle, ecco che da una parte c'è lui, Cortázar, il
bombarolo, che ci guarda e sorride, perché non abbiamo capito che le parole
devono restare lì dove sono finite, confuse e confondenti, perché quello è il
loro scopo.
Attenzione, però. L'intento
dell'autore non è quello di divertire o stupire il lettore annoiato dalla
lettura di tanti libri sempre uguali, qui ci viene richiesto di passare da un
ruolo passivo ad uno attivo, cercando nella trama un percorso di lettura
personale, ricostruendo a partire da Rayuela
un altro libro che sia solo nostro. E
allora possiamo dire che questo libro è il tentativo di Cortázar di negare una
realtà unica per andare alla ricerca di altre realtà, di percorrere contemporaneamente
tutte le strade possibili, senza fermarsi né al disordine della Maga, né alla
ricerca dell'ordine perfetto di Horacio; Rayuela
vuole raccontare il divenire, il movimento, il passaggio da qualcosa a
qualcos'altro, rappresenta lo sforzo dell'uomo che consapevole di essere
imperfetto cerca di trascendere se stesso senza sapere però quale direzione
prendere, e allora inventa, genera, e la sua verità diventa quella
dell'invenzione.
Sovvertire l'ordine esistente,
questo è ciò che importa, rompere gli schemi, i dogmi che limitano il nostro
orizzonte. Anche il linguaggio deve essere superato, non tanto le parole quanto
le regole che le tengono assieme, con Rayeuela
l'obbiettivo diventa quello di incamminarsi in una direzione nuova, una strada
che non ha una meta definita ma che vale la pena di essere percorsa perché
rappresenta il cambiamento, il viaggio verso il nuovo.
Etichette:
Cortázar,
letteratura argentina,
letture
domenica 2 dicembre 2018
Norman Manea – Il ritorno dell'huligano
L'autobiografia di Norman Manea in
forma di romanzo. La storia di un esule nel mondo accompagnato da un senso di
colpa, prima per non essere partito e poi per averlo fatto. La storia di un ebreo
errante perennemente in fuga, dalla dittatura del generale Antonescu prima e da
quella di Ceaușescu poi: dallo sradicamento dalla Bucovina per finire in
Transnistra durante gli anni dell'infanzia, fino all'espatrio nel 1986 in
America, il "Paradiso" dove non manca niente, nemmeno la depressione
("Non manca niente in Paradiso: cibo, vestiario e giornali, materassi,
ombrelli, computer, scarpe, mobili, vini, gioielli, fiori, occhiali, dischi,
lampadari, candele, lucchetti, catene, cani, uccelli esotici e pesci tropicali.
E negozianti, saltimbanchi, poliziotti, parrucchiere, lustrascarpe, contabili,
puttane, mendicanti: tutte le fisionomie, le lingue, le età, le altezze e tutti
i pesi").
Manea è l'huligano del titolo,
termine da intendere non nell'accezione moderna di teppista ma in quella che fa
riferimento a un libro di Mihail Sebastian: huligano nel senso di marginale,
non allineato al pensiero comune, escluso, "l'altro" per antonomasia.
Un libro che con una scrittura
ricca racconta la storia dell'autore e quella della sua famiglia: ricordi, immagini,
echi di voci lontane, fotografie dalle quali prova a ricostruire fatti accaduti
tanto tempo prima. Non si procede in ordine cronologico, ma per episodi che
come tessere vanno a comporre un mosaico nel quale c'è la vita di Manea ma
anche la storia della Romania moderna. L'infanzia, la fascinazione del
comunismo, la menzogna come rifugio e poi il risveglio dall'illusione, la
scelta della facoltà di Ingegneria, la malattia dello scrivere, il rapporto con
la madre… un racconto nel quale vita e letteratura si intrecciano e si
confondono, perché per Manea la letteratura è
vita.
La lingua rimane l'unico punto
fermo, il suo rifugio, la vera Patria dell'autore, quella che definisce
"la casa della lumaca", l'elemento in grado di conferirgli quella
coerenza e quella di identità che niente e nessuno possono portargli via.
Lettura interessante di un autore
che merita un ulteriore approfondimento.
domenica 25 novembre 2018
Tom McCarthy – Uomini nello spazio
Leggere Tom McCarthy è come
stendere un tappeto prezioso e poi provare ad interpretarlo, sforzandosi di
individuare i collegamenti tra le parti e il significato dei simboli; provando
ad entrare nella costruzione, indugiando alla ricerca di nessi, di certezze
alle quali ancorarci per procedere verso un livello più profondo.
Uomini
nello spazio è la storia di un
gruppo di anime alla deriva nell'Europa di fine millennio. Sullo sfondo di un'atmosfera
bohèmienne, trafficanti bulgari e altri strani personaggi incrociano le loro
vite a Praga nei giorni in cui la Cecoslovacchia sta per dividersi in due
stati, in un momento storico in cui il mondo sembra privo di un centro, quasi
destinato ad espandersi in ogni direzione.
La trama è ricca e contorta, ma in
realtà è poco più di un pretesto per tessere una rete nella quale sono
identificabili idee caratteristiche dei romanzi di McCarthy: l'importanza dei
simboli (in questo caso l'ellisse) e poi riflessioni sulla comunicazione e
sulla trasmissione, lo spazio, la copia e il suo rapporto con l'originale ma
soprattutto la ricerca del senso più profondo delle cose. In questo caso
centrale è un'antica icona e il tentativo di decrittare il significato delle
tre parole che vi sono incise. Capire per accedere a uno stadio nascosto che ci
apra le porte per una comprensione più "completa" delle cose si
rivela (e sempre si rivelerà) un'illusione e il mistero che occhieggia nel buio
un sistema di scatole cinesi che attirandoci verso di sé finisce per
allontanarci dal vero.
Etichette:
letteratura britannica,
letture,
Tom McCarthy
sabato 17 novembre 2018
Wolfgang Hildesheimer – Tynset
Strano destino, quello di Tynset. Hildesheimer teorizza la fine
della letteratura e per dimostrarlo scrive questo libro che in realtà si rivela
un gran romanzo (se possiamo definirlo tale, perché sulla classificazione di
quest'opera lo stesso autore sembra nutrire dei dubbi).
Tynset è un lungo monologo, che a tratti rimanda a
Bernhardt a tratti a Sebald. Pensieri in
libertà di un uomo che vive tra il letto e la stanza, quasi paralizzato in
un'immobilità beckettiana, presente e assente al tempo stesso. Un solitario che
vive con l'unica compagnia di Celestine, la domestica che sembra uscita dalle
pagine di un romanzo di Dostoevskij, una donna che beve e prega, occupata a
portare il fardello della sua colpa (qualunque essa sia) perché convinta che
questo sia il suo ruolo.
Tynset è un'idea, il nome di una
cittadina norvegese che serve a muovere le acque del pensiero del protagonista,
a sollecitarne la fantasia per costruire progetti destinati a rimanere sulla
carta. Tynset è qualcosa a metà tra uno scopo, un gioco e un sogno.
Pensieri in libertà, si diceva.
Pensieri che spaziano dalla superficie delle cose alle profondità, arrivando a
sfiorare l'irrisolto, il non detto che giace nel fondo dell'anima tedesca, quel
senso di colpa con il quale molti ancora convivono. Uomini che vivono come
fantasmi e che il protagonista rincorre per un po' per spingerli a fare i conti
con la loro coscienza.
Il protagonista del libro è un
uomo che ha rinunciato alla vita attiva ("Ma io so dove mi trovo? Dove?
Qui… da nessuna parte: ecco l'unico luogo dove posso respirare, libero, sciolto
da ogni cosa, non assalito da nient'altro che dalle intemperie. Non aver
colloqui, non eseguire incarichi, non pronunciar sentenze, non avere colpe. […]
mi lascio portare finché non esisto più.") e che combatte l'insonnia
dedicandosi alla memoria e ad imitare la vita. Ha provato a scrivere un elenco
telefonico inesistente per immaginare un mondo che però finisce sempre per
dover fare i conti con quello reale. Un
uomo che vive nella quotidianità ma solo
a mezzo servizio ("sono nel quadro e sono fuori del quadro, lo contemplo
dal di fuori, sono solo e siamo in due… in due? Ma con chi?"). Un uomo
bernhardiano, che definisce la vita "inganno e menzogna e
umiliazione", una "gabbia che non offre possibilità", un luogo
che abita "senza sapere qual era il mio posto". Unico scopo è il
nulla, inteso come "lo spazio frapposto tra una cosa e l'altra, questo
soltanto", un nulla però che gli risulta inaccessibile.
In Tynset ricordi e fantasie si mescolano, aiutati dall'alcool
confondono i loro confini in una dissolvenza che lascia filtrare solo immagini
sbiadite, figure vere e inventate che si incrociano in una danza assurda,
abitanti di un labirinto dal quale sembra impossibile uscire, impresa che poi
forse è anche inutile perché ogni sforzo è inutile, perché non c'è un altro
posto dove stare, e allora non vale nemmeno la pena dedicare troppo tempo ad
ognuna delle storie che il protagonista immagina e poi abbandona. Una serie di
bozzetti sterili, di possibilità inespresse che servono solo a far trascorrere
la vita e che fanno di Tynset un
grande romanzo espressionista.
Etichette:
Hildesheimer,
letteratura tedesca,
letture
Iscriviti a:
Post (Atom)