sabato 25 agosto 2012
Il senso ordinario delle cose
Cadute le foglie, torniamo
Al senso ordinario delle cose. E' come se
Avessimo esaurito l'immaginazione,
Inanimi in un sapere inerte.
E' difficile persino scegliere l'aggettivo
Per quanto freddo e vacuo, questa tristezza senza causa.
La grande struttura è diventata una casa modesta.
Nessun turbante percorre i pavimenti immiseriti.
La serra ha più che mai bisogni di una riverniciatura.
Il comignolo ha cinquant'anni e pende da una parte.
Uno sforzo fantasioso è fallito, una ripetizione
Nella ripetitività di uomini e mosche.
Eppure l'assenza dell'immaginazione doveva
Essa stessa essere immaginata. La grande vasca,
Il suo senso ordinario, senza riflessi, foglie,
Fango, acqua come vetro sporco, espressione di un certo
Silenzio, il silenzio di un topo uscito a vedere,
La grande vasca e la rovina delle ninfee, tutto ciò
Doveva essere immaginato come una conoscenza inevitabile,
Imposta, come impone una necessità.
[Wallace Stevens: "Il mondo come meditazione"]
mercoledì 22 agosto 2012
Laguna dantesca
Voglio come una piccola barchetta star da solo
C'è qualcosa che voglio osservare bene, faccia a faccia.
Come una pietra, o altra cosa grave, voglio discendere
nell'acqua limpida
eternamente,
svanire come fece lei,
linea dopo linea dissolta, negli abissi lunari.
Voglio come queste campanule viola dalla iacaranda
brillare con le stelle fisse,
Raganelle gracidano nel buio. Il piccolo ottone del mondo
naturale gracida e quel che io voglio
Sopra di me il gran cane è accucciato nel cielo basso del sud
e attende il suo momento.
Voglio tornare come un pezzetto di carta bruciata.
[Charles Wright: "Crepuscolo americano e altre poesie (1980-2000)"]
e scivolare su un elemento
all'orizzonte, labbra che qualcosa sanno ma restano chiuse
sotto il cielo della luna.
C'è qualcosa che voglio osservare bene, faccia a faccia.
Come una pietra, o altra cosa grave, voglio discendere
nell'acqua limpida
eternamente,
svanire come fece lei,
linea dopo linea dissolta, negli abissi lunari.
Voglio come queste campanule viola dalla iacaranda
brillare con le stelle fisse,
sfinito e appagato di me.
Raganelle gracidano nel buio. Il piccolo ottone del mondo
naturale gracida e quel che io voglio
non è nulla per loro.
Sopra di me il gran cane è accucciato nel cielo basso del sud
e attende il suo momento.
Voglio tornare come un pezzetto di carta bruciata.
[Charles Wright: "Crepuscolo americano e altre poesie (1980-2000)"]
domenica 19 agosto 2012
Stig Dagerman
Il viaggiatore
Lascio sogni immutabili e relazioni instabili. Lascio una promettente carriera che mi ha procurato disprezzo per me stesso e unanime approvazione. Lascio una cattiva reputazione e la promessa di una ancora peggiore. Lascio qualche centinaia di migliaia di parole, alcune scritte con piacere, la maggior parte per noia e per soldi. Lascio una situazione economica miserabile, un'attitudine vacillante rispetto ai grandi interrogativi del nostro tempo, un dubbio usato ma di buona qualità e la speranza di una liberazione.
Porterò con me nel viaggio un'inutile conoscenza del globo terrestre, una lettura superficiale dei filosofi e , terza cosa, un desiderio di annientamento e una speranza di liberazione. Porterò inoltre un mazzo di carte, una macchina da scrivere e un amore infelice per la gioventù europea. Porterò infine con me la visione di una lapide, relitto abbandonato nel deserto o nel fondo del mare, con questa epigrafe:
QUI RIPOSA
UNO SCRITTORE SVEDESE
CADUTO PER NIENTE
SUA COLPA FU L'INNOCENZA
DIMENTICATELO SPESSO
[Stig Dagerman: "Il viaggiatore"]
...in questa "tentazione al fallimento" è possibile riconoscersi; così come è possibile riconoscersi nella sconfitta dell'utopia, nella difficoltà della rivolta. Solo che noi, forse più "adulti" o semplicemente venuti dopo di lui (o di "loro": i Kafka, i Camus, i vari "nichilisti" degli anni Trenta e Quaranta) abbiamo dato per scontata la nostra disperazione e abbiamo cercato di partire da quella. Non è stata per noi il punto di arrivo. O è semplicemente che siamo più cinici, che siamo scesi a patti con meno intransigenza di Dagerman, di questo bambino ferito e piagato che non ha accettato di diventare "adulto"?
Goffredo Fofi
mercoledì 15 agosto 2012
III
Il suono di un passo
che esplode nell'aria
si dilata nell'eco
di passi diversi.
Un ponte di corde
giace sospeso,
tra il
cielo che incombe e la terra matrigna.
Il freddo sferza la
roccia,
due nuvole
vanno alla deriva.
Le mani stringono
forte la corda,
i piedi
osano, obbedendo ad un bisogno.
Ogni centimetro è un'isola da cui ripartire,
ogni passo allontana ed avvicina,
ogni passo allontana ed avvicina,
ogni parola avvicina
ed allontana.
[Xenia Dubinina: "Dialoghi afasici"]
domenica 12 agosto 2012
Specchio
Un salone bianco nel vivo di una festa
e io stavo con amici
sotto un grande specchio dalla cornice dorata
leggermente inclinato in avanti
sopra al caminetto.
Bevevamo whisky
e alcuni tra noi, non provando dolore,
disquisivano
su quale fosse l’esatta sfumatura di giallo
che il sole cadente conferiva ai nostri bicchieri.
Chiusi gli occhi solo per un poco
poi alzai lo sguardo allo specchio:
una donna vestita di verde
stava
appoggiata alla parete più lontana.
Pareva assente,
le dita di una mano
giocavano nervose con la collana,
e lei guardava fisso nello specchio
non me, ma oltre di me, uno spazio
che poteva essere colmato da qualcuno
che ancora doveva arrivare, che in quell'istante
forse iniziava il viaggio
che l’avrebbe condotto da lei.
Poi, d’improvviso, gli amici
dissero che era ora di muoversi.
Sono passati anni,
e anche se ho scordato
dove andammo e chi fossimo,
ricordo ancora l’istante in cui alzai lo sguardo
e vidi la donna guardare fisso oltre di me
un luogo che potevo solo immaginare,
e ogni volta provo una pena acuta,
come se in quel momento uscissi
dalle profondità dello specchio
ed entrassi nel salone bianco, ansimante e ardente,
soltanto per scoprire troppo tardi
che lei lì non c’è.
[Mark Strand: "Uomo e cammello"]
Iscriviti a:
Post (Atom)