sabato 8 giugno 2024

Saša Sokolov – Trittico

 


Saša Sokolov – Trittico
(trad. Martina Napolitano)
Miraggi Edizioni, 2024

Sperimentale.

Già da tempo erano evidenti i segnali di un cambio di rotta nel percorso letterario di Sokolov e Palissandreide in questo senso risulta paradigmatico, con il tentativo di contenere tutto: prosa alta e bassa, citazionismo, utilizzo di registri diversi, salti temporali… il passo successivo era nell'aria e ora possiamo dire che la bolla, dopo essersi tanto gonfiata, è scoppiata.
Dall'esplosione è saltato fuori Trittico, un esperimento di "proezia", insieme di prosa e poesia che sembra essere la nuova isola verso la quale lo scrittore russo ha puntato le vele. Si tratta di tre testi non strettamente legati tra loro se non sul piano ideale, che vanno letti senza cercare di seguire una trama che non c'è ma concentrandosi sulla forma più che sul contenuto, sulla scrittura che cerca di avvicinarsi alla musica. Testi che semplificando possiamo riassumere a riflessioni sul Bello, sull'Arte come unico strumento in grado di elevare l'uomo portandolo verso una dimensione superiore.
Dispiace che Sokolov abbia deciso di interrompere la sua esperienza nel campo della narrativa dopo solo tre romanzi, soprattutto perché dava l'impressione di avere ancora tanto da dire, e nutro un po' di apprensioni per quello che ci riserverà in futuro perché il rischio che si avventuri in uno sperimentale troppo "spinto", ai limiti dell'illeggibile (almeno per me), sembra reale.

Link
https://www.esamizdat.it/ojs/index.php/eS/article/view/23/15

domenica 2 giugno 2024

David Markson – L'amante di Wittgenstein

 


David Markson – L'amante di Wittgenstein
(trad. Sara Reggiani)
Edizioni Clichy, 2016 – I ed. 1988

La storia di Kate, la protagonista di questo libro, è fatta di un prima, nel quale era moglie e madre, e di un dopo, nel quale vaga sulla terra come ultimo sopravvissuto della specie umana e scrive di sé mescolando ricordi, pensieri e fantasie, forse veri e forse falsi.
Detta così sembrerebbe la trama di un romanzo come tanti del genere fantastico-apocalittico con un piede nello sperimentale, se non fosse che le intenzioni dell'autore guardano in una direzione diversa e molto più ambiziosa: dare una trasposizione letteraria alle proposizioni filosofiche del Tractatus di Wittgenstein, impresa spregiudicata e affascinante che Markson affronta con una scrittura fatta di frasi brevi e ricche di ripetizioni e correzioni, di digressioni, avvenimenti e persone ricordati male o fuori contesto. È un punto di vista parziale, imperfetto, fallace, che non descrive la realtà ma l'idea di Kate/Wittgenstein del mondo che si rivela essere un mondo invivibile: un deserto di solitudine, una cella nella quale ruminare pensieri che si avvitano tragicamente su se stessi con la protagonista intenta a costruire mondi che poi distrugge come una novella Penelope.
In ultima analisi, L'amante di Wittgenstein è anche una riflessione sui limiti del linguaggio come strumento di comunicazione, perché tutte le riflessioni di Kate rimangono chiuse nella sua testa e quindi condannate alla sterilità.

domenica 19 maggio 2024

António Lobo Antunes – Il manuale degli inquisitori



António Lobo Antunes – Il manuale degli inquisitori
(trad. Rita Destri)
Einaudi editore, 1999 – I ed. 1996

Cos'è la vita? Il racconto che ne fa ciascuno di noi, più le note a margine dei personaggi minori. Gli spettri.

Libro importante nella bibliografia di Lobo Antunes, Il manuale degli inquisitori si presenta al lettore con una prosa più "pulita", meno baroccheggiante e più musicale rispetto a quella dei romanzi del ciclo di Benfica. Quello che rimane immutato sono invece i salti temporali, che si ripetono a volte anche nel corso della stessa frase, perché quando la memoria si inceppa passato e presente sono così vicini sulla linea del tempo da potersi scambiare di posto senza problema. Altra costante è la polifonia, anche se qui la trama è organizzata secondo uno schema rigoroso: cinque parti affidate alla voce dei protagonisti arricchite dal commento di personaggi minori che, come succede in gran parte della produzione dell'autore lisbonese, raccontano la disgregazione di una famiglia e quella di una nazione, temi che finiscono per intrecciarsi con un uso sapiente di metonimie e altre figure retoriche.
E così, in mezzo a una selva di comprimari, caratterizzati dalla loro povertà emotiva e che ai sentimenti antepongono istinti, bisogni e doveri, spicca la figura di João: figlio perenne, personalità mai sbocciata perché schiacciata dal padre, un inane intento a costruire una barca che non navigherà mai, l'uomo che guarda la vita scorrere, che assiste passivo e indifferente a quello che succede intorno a lui. E poi Titina, la governate fedele e accuditiva, che si sente rivestita di un ruolo importante nella famiglia e invidia le attenzioni che il padrone dedica alle altre donne. E ancora, Paula, un ragazza senza amore che sogna briciole di felicità che non ha mai avuto e non avrà mai e Milá, un'altra vittima del padrone che cerca in lei la moglie che lo ha abbandonato e soprattutto lui, Francisco, il potente padre-padrone del quale assistiamo alla rovinosa caduta raccontata in parallelo a quella dello Estado novo portoghese, un'anima nera che finisce spezzata in due "come se metà di me fosse quello che credo io e gli altri credevano che fosse e l'altra metà ciò che di fatto era". 
Il manuale degli inquisitori è uno splendido romanzo, tanto semplice nella struttura quanto raffinato nei meccanismi che la sostengono, a iniziare dall'importanza che nella narrazione assume l'assenza (di Isabel, madre di João), che diventa uno dei motori della trama, per proseguire a quella del non detto e che emerge dai comportamenti dei personaggi, fino ad arrivare al ruolo dello scrittore (l'inquisitore) che ha il compito di dar voce ai personaggi attraverso i loro resoconti. 

lunedì 1 aprile 2024

Dambudzo Marechera – La casa della fame



Dambudzo Marechera – La casa della fame
(trad.Eva Allione)
Racconti edizioni 2019 – I ed. 1978

Incipit faulkneriano per un'opera che richiama Bolaño alla massima potenza. Marechera è un Bolaño più arrabbiato, più viscerale dei realvisceralisti, uno scrittore che salta dal quotidiano all'immaginario, dal presente al passato, come una pallina impazzita, incapace di rimanere fermo su un punto per l'esigenza di dire tutto, di trasmettere il malessere di un uomo e di un popolo, per il bisogno di affrancarsi dalla violenza e dalle miserie del ghetto e al tempo stesso di mettere in discussione i modelli che rincorre.
"Ho trovato un seme, un semino, il più piccolo del mondo. E si chiamava Odio. L'ho sotterrato nella mia mente e l'ho innaffiato con le lacrime. Nessun seme ha avuto mai giardiniere più diligente. Mentre si gonfiava e si schiudeva di vita verde ho sentito fremere la mia nazione, fremere dalle doglie; ed esplodere in rami e fiori."

"C'è un mucchio di rabbia che non ti porta da nessuna parte. C'è un cumulo di attenzione che pure quello non ti porta da nessuna parte. Sono tutti biglietti per nessuna parte, tutto quanto lo è.!
Un libro con i piedi inchiodati nel pantano della realtà, conficcati nel profondo della miseria, della sopraffazione dell'uomo sull'uomo, troppo dentro alle cose per sperare di uscirne, per sognare una vita diversa. Un aggirarsi schizofrenico tra le macerie di un presente al quale è impossibile sfuggire perché non esiste un altrove e se esiste non è quello che vuole il protagonista, a cui resta solo l'urlo liberatorio della prosa abbacinante di Marechera.
"D'un tratto sulla terra dormiente si abbatterono gigantesche gocce di pioggia. Il rumore era assordante, la loro vista atterriva, e la potenza dei torrenti mi fece quasi ingrigire anzitempo. Sembra impossibile una tale pazzia degli elementi. Sulla scuola si riversavano secchiate d'acqua. Pioveva come se la pioggia volesse scacciarci dalle nostre menti. Tambureggiava sui tetti di amianto. Tambureggiava contro i vetri delle finestre. Ci risuonava nella mente. Ci tambureggiava addosso finché non ne potevamo più. Era un diluvio cupo: schizzava, inzaccherava, ci picchiava la testa come lo schianto di un pugno. Ruggiva, scrosciava, inzuppava, tartagliava rantolando dagli spazi neri dell'universo infinito e insensato. Saliva. Si gonfiava. Schioccava i suoi scorci come una frusta. A secchiate saltavano spasmodici pesci d'argento. Lo sciabordio e il risucchio del fango ci fremevano e frullavano nella mente, ci raggelavano fino alle spalle dell'anima. Questo delirio piovano gettò la scuola in uno stato di eccitazione febbrile. L'eruzione era come una bolla che scoppia e inzacchera tutto quanto dei suoi acidi neri. Il cielo furioso spingeva contro la scuola massi di pioggia, finché non ci sembrò che fosse la nostra stessa sanità a subire un implacabile assedio. Quell'ira canora ci piantava tanti aghetti nella materia delle cervella. Rimbombava. Ostruiva. Si gonfiava. Ruggiva da arrochire i leoni. Si versava nella nostra mente, ci inzuppava le parole, e ci lasciava a bocca aperta. A bocca umida. L'aria ne era impestata. Era un odore dolce e malvagio che ci si attaccava ai vestiti come colla. Dentro ci nuotavano cose e quelle erano le garanzie che avevamo un tempo. Al cimitero le tombe più economiche venivano sventrate e le croci e i aletti di legno spazzati via. Un insegnante ubriaco che si azzardò a uscire non venne mai più visto. Era una pioggia, quella, che tambureggiava sul tamburo finché il tamburo non si squarciava, saturando la mente con fettucce di lampo. Era come un folle che parla incessantemente; e sussurra rapido all'orecchio del cielo. Era come un uomo che, dopo un lutto improvviso, si spezza e si scaglia contro il muro. Era il fiume poderoso che si tuffa da una cascata e ruggisce di quella rabbia cerebrale che si può spaccare solo sulle rocce sottostanti. Distrusse il quartiere degli operai, quella pioggia; abbatté le capanne col suo brutale tirapugni. Buttò giù i muri di fango e portò i fragili tetti a schiantarsi sugli inquilini sfortunati. Quella notte in tutto il quartiere uomini, donne e bambini lottarono per la propria casa, costruendo, ricostruendo, gemendo sotto i colpi finché di nuovo i muri di quella perfidia non venivano giù. E ancora i cieli sbavavano incessanti sulla terra. Quella pioggia: batteva i dentini acuminati; schiumava alla bocca contro tutto e tutti quanti. Le sue ragion ci lasciavano inebetiti. Parole che ci colpivano e ricolpivano a ogni secchiata di pioggia. Qualcosa di malato era stato liberato fra noi. Un'infiammazione che bruciava come un lampo di dolore, un'intuizione fulminea che mi scacciava la pazzia di dosso a suon di botte. Ci spaccava la pelle dei denti. Il mio semenzaio era distrutto; c'erano nella pioggia i semi turgidi di una vecchia faida; il suo odore grezzo era arrivato fin nei recessi dei polmoni terrestri. I suoi piedi di fango avevano calpestato e insozzato tutto ciò che aveva di caro. La memoria ne era fradicia. L'unico sole dei giorni passati era prigioniero delle sue voglie. E i colori della mente cominciarono a colare per la tela fino a sbavarsi l'un l'altro".


domenica 17 marzo 2024