Il giorno è la superficie del
mondo. La notte no. La notte è la notte.
La notte esercita da sempre una forte suggestione nella narrativa sudamericana e se ne avessi le competenze sarebbe interessante tracciare un confronto tra il ruolo che essa ricopre nei libri di Onetti e nella poesia di Saenz, grande e misconosciuto poeta boliviano.
La notte è la
notte. Luogo pericoloso, pericolosissimo, per uno scrittore, perché il rischio
di perdersi in uno dei numerosi luoghi comuni che la abitano è sempre dietro l’angolo.
Onetti non teme il rischio, semplicemente lo ignora: lui ha una storia da
raccontare ed è una storia che può essere raccontata solo di notte. Perché la
notte sfuma i contorni delle cose, è il territorio del dubbio, dell’incerto che salta fuori dal nulla a
spazzare via le certezze del giorno. Di notte la verità non esiste, ci sono
solo punti di vista, di notte gli uomini non sono quelli del giorno ma dal
profondo delle loro coscienze affiorano aspetti e sfumature che di giorno
stanno nascoste.
Per questo solo
di notte poteva giocarsi la partita tra Osorio e Morasan, un balletto tragico
che supera i confini della lotta tra il bene e il male per diventare un
confronto tra due uomini già persi in partenza, due vinti condannati a
combattersi senza quasi più sapere in nome di cosa lo fanno.
“Non esiste altro che la fissazione di ognuno di
noi”,
dice Osorio ad un certo punto della narrazione, e neanche la comparsa di una
bambina, di un essere puro ed indifeso come la piccola Victoria Barcala, sarà sufficiente a cambiare il paradigma.
Osorio e Morasa
sono due tipici eroi onettiani, tragici perché – come detto – consapevoli di
essere sconfitti in partenza. Il destino che hanno davanti è una montagna
troppo impervia da scalare e sia che decidano di combatterlo (come fa Osorio) o
che si sottraggano alla lotta (come fa il protagonista de Gli Addii), la sconfitta è sicura. L’eroe onettiano è anche una
figura estremamente attuale perché lotta soprattutto per se stesso, un
individualismo che isolandolo amplifica la drammaticità della sua situazione.
Un eroe che osserva la vita come se guardasse qualcosa di esterno al suo mondo,
qualcosa che appartiene agli altri, che lui vede agire ma che non è più in
grado di comprendere.
Poi la notte ti verrà in aiuto
- e solo allora, alla luce di terrificanti
esperienze appena vissute, ti saranno rivelate molte cose semplici, e al tempo
stesso difficili.
Perché se non c’è rischio, se non c’è pericolo, se
non c’è dolore e follia,
non c’è nulla.
Il giorno è per respirare, per salutare, per
spostare mobili e cambiare di posto ad alcune cose;
il giorno è di uffici, di alterchi e discussioni e
di gente buona e ottimista,
e di piccoli odii e di gare di velocità, per vedere
chi arriva primo.
Il giorno è la superficie del mondo.
La notte no.
La notte è la notte.
La notte, nelle profondità, ha immaginato una beffa
greve – perché la notte scrive,
per cercare e trovare.
La notte propizia per perdersi e scomparire, per
rinascere e morire, in oscurità che parlano e ti additano.
Per questo la luce della notte è una luce a parte: molte cose, molto strane,
s’illuminano alla luce della notte
- Le cose ritornano a essere come sono, e noi
stessi possiamo essere quello che siamo.
Consiglio:
leggete Saenz.
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