domenica 7 agosto 2011





Oh palazzo dello Stato Maggiore!
Un rotolo tu sei di carta gialla,
Svolto da sinistra a destra,
Concavo, come volta celeste.


Oh mare, lucido come disegno!
Oh altezza fredda del cielo!
Strappalo dalle mani dell'italiano
E in rotolo di nuovo avvolgilo.


Sotto il suo grigio mantello, sotto il braccio.
Perché sia rotta e disfatta la sutura.
Perché a saltelli cammini l'italiano
Nell'ombra dei giardini di Pietroburgo.


Nel vento, nel freddo pungente,
Con lo sguardo seguendolo a stento,
Comprenderò che tra il secolo e l'istante
La differenza non è poi così grande.


E più dei begli edifici
Amerò nei tratti della città
Quel glorioso senso
Della loro instabilità.


[Alexander Kušner: "La poesia di San Pietroburgo"]

sabato 30 luglio 2011

Preghiera

Dalla ringhiera d'un molo, guardo pesciolini, migliaia,
sciamare, ognuno un minuscolo muscolo, ma anche, senza
poter creare corrente, fare del loro unisono (girando, ripiegandosi,
entrando e uscendo dal proprio unisono all'unisono) fare di se stessi
una corrente visiva, che non può trasportare o muovere d'un
attimo la spirale dell'acqua che scende e sale, la
scia delle barche che ciclica infine ribatte sulla banchina, là dove
incontra la resistenza più profonda, acqua che sembra squarciarsi
(ha quegli strati), una corrente vera benché per lo più
invisibile che manda nel visibile (pesciolini) uno sfrecciare
veloce che impone il cambiamento -
è questa la libertà. Questa è la forza della fede. Nessuno ottiene
ciò che vuole. Non sarai mai più lo stesso. Il desiderio
è essere puro. Quel che ottieni è essere mutato. Sempre più
ogni minuto iridescente, da cui permea l'infinito,
e la dismemoria, certo, il riverbero di qualcosa
alla deriva. Qui, mani piene di sabbia, che faccio filtrare
nel vento, guardo giù e dico prendi questo, questo
ho salvato, prendilo, svelto! E se ascolto
ora? Ascolta, non ho detto nulla. Ero solo
qualcosa che ho fatto. Non potevo scegliere le parole. Sono libera d'andare.
Non posso certo tornare indietro. Non a questo. Mai.
E' un fantasma posato sulle mie labbra. Qui: mai.

[Jorie Graham: "L'angelo custode della piccola utopia"]

sabato 9 luglio 2011

Azzurro e possibilità

Alle volte sogno,
e la brezza nervosa che si alza da prua è il segno.
Scorrono veloci le cime nelle mani forti
si spiegano le vele come petali che si schiudono al sole.
Estate. Profumo di azzurro e possibilità.

Alle volte sogno,
e quando le altre barche ritirano la testa dentro al carapace
io mi alzo sulle punte per sfidare il mare nero
e gonfio l’ego come rana che ha smarrito la coscienza del sé.

Alle volte sogno,
ma questa è la vita
e qui io galleggio.

Ignota la rotta.

[Lars W. Vencelowe: "Mater mare"]

domenica 26 giugno 2011

La parola appresa

Quel che ricorda l'uomo alla fine della sua età
è il bambino che fu, assorto nelle stupore.
Quel che poté essere un successo nella sua vita è qualcosa che ha dimenticato
o che non gli interessa ricordare. Quel che vale veramente
di quanto ha vissuto è la gioia effimera, il piacere più fugace,
la parola appresa per nominare le cose
per la prima volta, l'eco della voce che la pronuncia, 
il passo felpato del gatto, l'ombra delle ali,
il primo aroma della zagare e il canto
di qualche sonoro uccello tra i rami.
Quel che ricorda l'uomo alla fine della sua età
è solo il tesori di ciò che più non è:
l'innocenza annientata che, se fosse possibile, 
sarebbe la sola cosa a cui chiederebbe di ritornare.


[Juan Domingo Arguelles]

mercoledì 15 giugno 2011

Sulla Litoranea, tramonto



E di nuovo ritorno dov’ero
di nuovo sono dove sono già stato
dove sono rimasto anche quand’ero lontano,
a quei tramonti
a quel che resta di quei giorni,
vino sul fondo del bicchiere.
polvere nei cassetti della stanza.
Di nuovo ritorno spettatore
ed assisto all'antico rito
che si ripete sempre uguale
al calare delle ombre,
quando il vecchio sole
butta giù l’ultimo bicchiere
e poi si congeda con passo strascicato
dopo aver spento il mozzicone
nell'azzurro del piatto
sul tavolo, lì davanti.

[Lars W. Vencelowe: "Mater mare"]