Kuraev è uno di quegli autori che
sembrano voler passare inosservati, che scrivono in punta di penna dando
l'impressione di non voler mai affondare il colpo e pure, nonostante il tono
lieve e lo stile semplice, risultano estremamente efficaci e raffinati.
Il suo è un punto di vista non
banale sull'Unione Sovietica del secondo Novecento e quello che ci propone in
questo libro è un dittico di racconti che dicono molto su quell'epoca.
Il primo (Zolotucha, detto 'fiato corto') è del 1997 e narra la storia di un
ragazzino sullo sfondo dell' 'affare' di Leningrado degli anni '50. Come Pëtr
Popkov, uno dei politici più influenti dell'epoca, cerca vanamente di difendere
un gruppo di esponenti del partito locali dei quali i vertici moscoviti temono la
scalata ai vertici dello Stato, così il piccolo semi-orfano, malaticcio,
solitario Zolotucha si carica di una colpa non sua, altrettanto vanamente
convinto di poter riscattare con tale gesto la sua esistenza sfortunata ed
acquisire benemerenze agli occhi di compagni e professori. Ma per l'adolescente
innocente che crede di vivere nel migliore dei mondi possibili il risveglio dal
mondo dei sogni non potrà essere più traumatico e da un piccolo gesto compiuto
in buona fede vedrà rovinata la sua intera esistenza.
Kuraev trasforma una storia minima
in un apologo sulla logica perversa del regime sovietico di quegli anni, un
sistema costruito su regole ferree che non ammetteva deroghe di sorta alla
linea stabilita e che si trattasse di episodi strategici o goliardate di
bambini non faceva alcuna differenza. Il singolo doveva confondersi e
annullarsi nella massa, l'individualità non era consentita e per i gesti
eroici, piccoli o grandi che fossero, non esisteva spazio, anzi l'eroe
rappresentava una minaccia all'ordine costituito.
Fateci
provare la nostra maturità!... è
un racconto del 2000 nel quale i protagonisti sono degli studenti dell'Istituto
teatrale di Leningrado. Qui il tema è l'ideologia e i rischi che possono
derivare dalla deviazioni dalla strada maestra ed è affrontato con un registro
ironico che tende a sfociare quasi nel surreale soprattutto nell'originale
finale del testo, quando l'autore ci mostra come Doglatov, il protagonista,
dopo essere stato miracolosamente salvato dall'espulsione dal corso degli studi
inizia a lavorare per il teatro, entra nei quadri del partito ma poi,
inspiegabilmente, commette un furto che gli costa una condanna. Non esiste un
motivo che possa spiegare il suo comportamento, si affretta a dire Kuraev
disorientando il lettore quasi con uno sberleffo gogoliano, si tratta di un
fatto che non ha rapporto con il resto della storia, semplicemente non è detto che
alla fine i conti debbano sempre tornare ("E se il benevolo lettore si
aspetta comunque una morale dall'autore, allora sono obbligato a confessare la
mia impotenza, che mi costringe a lasciare il lettore da solo con la storia
com'è successa, e confessare che una morale in questa storia non c'è. E il
bello sta proprio qui!")